Divanazioni: “Aftersun” spiega erché Paul Mescal ha il successo che si merita

L’ultima struggente danza tra padre e figlia
 
C orrono lungo le soglie Calum (Paul Mescal) e Sophie (Frankie Corio), protagonisti di Aftersun di Charlotte Wells. Lui è un padre che sembra un fratello, lei una bambina che sta per diventare donna. Trascorrono insieme lo spazio provvisorio di una vacanza, dove ogni abitudine è scardinata e i ruoli sfalsati. Anche a Wells, trentaquatrenne regista e produttrice scozzese, al suo primo lungometraggio, piace attraversare le soglie e sconfinare tra i generi, passando da falsi found footage familiari a flashback e flashforward da thriller. Non perde mai il filo della trama Welles, ma cova un senso di sospensione dietro ogni soggettiva, in cui Calum si arrampica sul parapetto della terrazza, piange ai bordi del letto, o elargisce carezze e protezione. O in cui Sophie è attratta dalla sensualità degli adolescenti e dalle loro scabrose vicende, ma ristagna fiduciosa nei giochi di bambina.
Incombe il senso di una tragedia senza nobiltà su questa coppia dolcissima, incapace di comunicare verbalmente. Sophie non chiede al padre perché non viva con loro, ma indaga piuttosto sul significato delle parole d’amore che Calum rivolge alla madre di Sophie al telefono. Non si lamenta dell’hotel senza lussi in cui soggiornano, ma semplicemente lo gela quando il padre le propone di prendere lezioni di canto: «Non promettere cose che non ti puoi permettere». Calum incassa con la gentilezza che gli ritaglia addosso Paul Mescal, uno dei più promettenti giovani attori di oggi (La figlia oscura di Maggie Gyllenhaal e Normal People di Sally Rooney), candidato agli Oscar come miglior attore proprio per questa pellicola. È impenetrabile, comico, generoso, amorevole, infantile. Frankie Corio, al suo esordio, è ruvida, giocosa fragile e forte, saggia e rassegnata. In questo suo rigore dona al padre tutto quello che può in una totale partigianeria. Per sollevarlo dalla gara di karaoke si esibisce in un lungo e imbarazzante Losing My Religion dei R.E.M., vocalmente triste come lo è la canzone. Aftersun ha una colonna sonora targata nineties, che include canzoni pop-rock di gruppi come gli Aqua, gli Steps e i Blur, di rara coerenza rispetto al montaggio. Ed è proprio sulle note di Under pressure che il film assume il suo significato più pieno, restituendo vigore anche al testo dei Queen e di David Bowie: «E l’amore ti fa prender cura delle persone/che vivono ai margini della notte…/Questa è la nostra ultima danza». A piccoli frammenti appare ogni tanto, come un fantasma, l’immagine di Sophie da grande (la ballerina e coreografa Celia Rowlson-Hall), mentre balla con un padre congelato agli anni Novanta in uno struggimento di rara intensità. Perché un figlio vorrebbe che la danza con un genitore non fosse mai the last, l’ultima.
4 stelle
Charlotte Wells
Aftersun
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