Omaggio a Massimo Troisi alla Berlinale: non ci resta che piangere (e ridere)

Oggi il comico, scenggiatore, regista di San Giorgio a Cremano avrebbe compiuto 70 anni. Mario Martone gli dedica un film “Laggiù qualcuno mi ama”, passato alla Berlinale venerdì scorso
Per scrivere un film su Massimo Troisi Mario Martone ha voluto accanto a sé la sceneggiatrice con cui il comico, sceneggiatore, regista di San Giorgio a Cremano lavorava sui suoi film, Anna Pavignano. Insieme hanno tracciato il copione di un documentario di cui entrambi sono protagonisti scanzonati, divertiti e malinconici, proprio come lo era Troisi. Ne viene fuori il ritratto sì dell’artista, ma anche dell’individuo nella sua grana umana, nell’impegno politico secondo le coordinate del tempo e della città di cui Martone condivide le origini.
Laggiù qualcuno mi ama, presentato alla 73esima edizione della Berlinale nella sezione “Special”, nelle sale dal 23 febbraio, è un omaggio a settant’anni dalla nascita di Troisi (che cade oggi), in una più ampia rappresentazione sociologica della Napoli in cui entrambi i registi sono cresciuti, sebbene a distanza di qualche anno (1953 Troisi, 1959 Martone). Una città irriverente e creativa, che ha prodotto da sola gli anticorpi alla globalizzazione, imponendo la propria musica e vivendo nella maniera teatrale e fatalista imparata dalla povertà, dalle catastrofi naturali e dalla mala gestio dei suoi amministratori.
Scorrono immagini di archivio rare: lo scugnizzo che fa il cameriere e getta le boccate di fumo alla telecamera, le case crollate durante il terremoto del 1980, la vitalità della rinascita culturale degli anni Settanta e Ottanta. Allora Troisi con Lello Arena ed Enzo Decaro fondava “I Saraceni”, che poi si sarebbero trasformati ne “La Smorfia”, mentre Martone entrava nel mondo del teatro, che nel 1986 lo porterà a creare i “Teatri Uniti”, con Toni Servillo e Antonio Neiwiller.
Martone sembra trovare uno specchio in Troisi, riconoscendosi nelle stesse istanze politiche di un artista, che viene spesso relegato solamente al ruolo di comico. Rivendica il significato fortemente innovativo della “Smorfia” in chiave anticlericale. Il loro spettacolo dell’Annunciazione (indimenticabile Lello Arena con il suo “Annunciaziò, annunciaziò”) venne censurato e spostato dal teatro parrocchiale a quello che diventerà il loro teatro, una specie di garage, che “se non fai abbastanza attenzione arrivi direttamente sul palco”, spiega Troisi semiserio nei filmati di repertorio. Quando approda in Rai il trio viene accusato di vilipendio alla religione di Stato e Troisi decide di difendersi da solo in tribunale. Innovativa è anche la sua comicità nel mito del maschio sciupafemmine e macho. Nei suoi film, come contraltari, Troisi sceglie donne combattive, come la stessa Anna Pavignano, studentessa di psicologia torinese, con cui continuò a scrivere anche dopo la fine della loro relazione amorosa. È un maschio che non abbandona ma viene lasciato, che si tortura d’amore assieme all’amico Lello Arena, ancora più fragile di lui.
Ma Martone vuole soprattutto rimarcare l’abilità da regista di Troisi, mai abbastanza riconosciuta dalla critica. Una tesi non del tutto condivisibile, anche se Troisi portò al cinema un fenomeno nuovo che riempiva le sale. Era non tanto la regia, quanto la sua maschera da pulcinella contemporaneo a risultare vincente, anche se lui di Napoli quasi voleva liberarsi. O meglio, voleva un cambiamento, che legittimasse la fine dello stereotipo dell’emigrante, come Gaetano in Ricomincio da tre, suo fortunatissimo esordio nel cinema nel 1981, pellicola di fatto mai invecchiata.
Lo inchiodava però alla sua Napoli l’accento spiccato e la gestualità, che interpretava a modo suo in uno stropicciare di occhi e sopracciglia, in un grattarsi la testa di sapore infantile e che Martone mostra in una sequenza irresistibile. Un antieroe su cui certo ha pesato la condizione di debolezza cardiaca, che lo ha perseguitato tutta la vita e che lo ha infine vinto nel 1994.
Insistendo sull’idea di regia innovativa, Martone fa un interessante paragone tra Troisi attore e Antoine Doinel e ai suoi lunghi, surreali dialoghi alla Truffaut, prendendo a prestito un’idea della rivista «Sentieri selvaggi». E ancora, per trovare assonanze, Martone propone il parallelismo con Enrico Ghezzi e Andrea Pazienza.
Sono idee che arrivano tutte attraverso le immagini di film girati da Troisi – Non ci resta che piangere (1984), Morto Troisi, viva Troisi!, (1982), Le vie del Signore sono finite (1987), Pensavo fosse amore… invece era un calesse (1991) -, quelli da lui interpretati – uno per tutti Il postino (1994) di Michael Radford – e gli sketch da cabaret più famosi. Accanto, il tributo alle musiche di Pino Daniele e le interviste a chi lo ha amato, conosciuto, emulato, come Goffredo Fofi e Paolo Sorrentino. Laggiù qualcuno mi ama è un bellissimo atto d’amore. La prova: la sala a Berlino, in cui i novizi di Troisi e chi aveva già visto quelle scene decine di volte esplodevano nelle stesse risate e malinconie.
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