Cannes ’70 trionfa la satira sociale. Niente Netflix nel palmares come voleva Almodovar

Alla fine ha avuto ragione il presidente della giuria Pedro Almodovar, i film di Netflix, “Okja” (favolone senza grandi originalità) di Bong Joon-ho e “The Meyerovitz stories” (graffiante commedia) di Noah Baumbach, non hanno avuto menzione nel Palmares, che è stato sorprendente, almeno per la Palma d’oro. Ha vinto “The square” di Ruben Östlund che ha dileggiato il mondo dell’arte contemporanea e la benestante e senescente società occidentale.


Östlund, che aveva già (e meglio) indagato la vigliaccheria dell’animo umano all’insorgere delle difficoltà in “Forza maggiore” nel 2014, spiega il disallinearsi degli equilibri, quando si viene in contatto con il diverso, inteso come straniero, anche migrante, o come individuo di classe sociale differente. Un tema, assieme a quello delle periferie e della marginalità in generale, che si è riscontrato in tante pellicole della rassegna, nelle sezioni ufficiali e non, che si è affermato come la traccia più forte del cinema che si è visto sulla Croisette. La giuria non ha voluto premiare la questione sociale più urgente, come è capitato diverse volte a Cannes (per esempio, l’anno scorso con “I Daniel Blake” di Ken Loach sul mondo del lavoro e sul welfare in via di disgregazione), ma film diversissimi tra di loro. Il secondo riconoscimento per importanza è andato a una pellicola molto francese per tematica e stile, “120 battiti al minuto” di Robin Campillo, sulla campagna di diffusione delle conseguenze dell’Aids nei primi anni Novanta. La miglior regia ha premiato un remake, quello di Sofia Coppola dal titolo “L’inganno”, (da “La notte brava del soldato Jonathan” di Don Siegel); il miglior attore a Joaquin Phoenix per il film introspettivo “You were never really here” di Lynne Ramsay, che ha conquistato anche il premio per la miglior sceneggiatura ex equo con il thriller con impianto da tragedia greca “The killing of a sacred deer” di Yorgos Lanthimos. Il riconoscimento come miglior attrice va a Diane Kruger per “In the fade” di Fatih Akin che ha aperto una finestra sulla contemporaneità con il tema del terrorismo. Purtroppo solo il premio della giuria per il bel film russo “Loveless” di Andrey Zvyagintsev che raccontava di infanzia (altro tema ricorrente nei film del festival) e di abbandono. Premio di consolazione a Nicole Kidman che era presente in due film in gara con il riconoscimento speciale per la settantesima edizione. A mani vuote il veterano del Palmares Haneke che con “Happy End” ha girato un bel film sulla decadenza della borghesia e sulla pervasività delle nuove tecnologie (anche in “Loveless”), ma non all’altezza delle altre due opere Palma d’oro nel 2009 “Il nastro bianco” e nel 2012 “Amour”.