Maurizio Costanzo (1938-2023)
«concorro al Guinness dei primati per l’ambizione. Ultimamente mi ha superato solo un tizio del Texas…». Immerso, completamente vestito, in una vasca idromassaggio, Maurizio Costanzo nel 1984 rispondeva alle provocazioni di Simona Izzo, a lungo sua compagna, e di Sandra Milo, convertendo un discorso civettuolo in ironia sagace. Costanzo, morto ieri a Roma a 84 anni per una fragilità cardiaca grave, sapeva adattarsi e giocare con i tempi, come la sfrenata voglia di consumismo del Paese, intuendo i cambiamenti, anticipandoli e sapendoli manovrare cinicamente, ma sempre con intelligenza.
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Fu tante cose insieme, Costanzo: giornalista, conduttore televisivo e radiofonico, sceneggiatore, ma soprattutto cambiò con molta fantasia e un poco di spregiudicatezza il volto alla televisione italiana, a partire da Finalmente domenica (1972), Alle sette della sera (1974-1975), Bontà loro (1976-1978 e poi Rai 1 2010-2011), capostipite e matrice dei talkshow all’italiana. Il suo più grande successo fu il Maurizio Costanzo Show dall’82 fino all’86 su Rete 4, contribuendo a rafforzare le reti commerciali di Berlusconi e insidiando la fino ad allora inscalfibile Mamma Rai. Approdò quindi a Canale 5, il marchio deluxe del Biscione, arrivando in varie riprese (1985-1987, 1996-2006) ad avere fino a 40mila ospiti, fiutando personaggi che avrebbero bucato lo schermo, da Vittorio Sgarbi, a Giampiero Mughini, da Platinette a Dario Vergassola. Aveva afferrato il cambiamento antropologico degli italiani, che passavano il tempo libero a drogarsi di televisione in salotto, creandone un altro a specchio nel Teatro Parioli di Roma, che entrasse in tutte le case. Degli ospiti nelle sue trasmissioni sfruttava con lucidità bellezza, fascino e, se c’era, il lato freak. Allo stesso modo, con generosità lanciava talenti, uno su tutti Paolo Villaggio, con cui creò il personaggio di Fracchia. Sapeva essere fatuo, capiva che le risse impennavano lo share e lasciava che si accendessero per poi intervenire con il suo iconico “Bboni, state bboni!”. Il suo pedigree civile fu contraddittorio: coinvolto nel 1981 nello scandalo della P2, errore di cui si rammaricò, si impegnò nelle campagne contro la mafia con l’amico Giovanni Falcone e subì per questo un attentato (fallito) di Cosa Nostra. Sapeva unire alto e basso, elaborando l’arte dell’interruzione, della sfumatura, della sospensione con il piglio da cronista, che si guadagnò sul campo, quando, senza avere santi in paradiso (era figlio di un impiegato e di una casalinga), a 18 anni divenne redattore a «Paese Sera», poi caporedattore di «Grazia» e direttore de «La Domenica del Corriere». Fu autore con Ghigo De Chiara della celeberrima Se telefonando, cantata da Mina nel 1961 su musiche di Ennio Morricone, di programmi radiofonici come Canzoni e nuvole, ideato da Luciano Rispoli, di commedie teatrali (Il marito adottivo, Vuoti a rendere) e di diversi libri, come Chi mi credo di essere (Mondadori 2004, con Giancarlo Dotto). Contribuì alla sceneggiatura di quattro film di Pupi Avati, di Una giornata particolare di Scola e di Salò di Pasolini. Ebbe una vita sentimentale movimentata e ricca di matrimoni: il primo con la fotoreporter Lori Sammartino nel 1963, dieci anni più tardi con la giornalista Flaminia Morandi, da cui nacquero Camilla, sceneggiatrice Rai, e Saverio, regista. Quindi una lunga convivenza con Simona Izzo, nell’87 le nozze con Marta Flavi e infine nel 1995 con Maria De Filippi. Negli ultimi anni si adagiò sugli schemi collaudati per un pubblico sempre più incanutito: la sua Buona domenica che aveva condotto dal 1985 con Corrado, in concorrenza a Pippo Baudo sulla Rai, finì per diventare negli anni 2000 un covo di nani e ballerine rubate ai reality, ma a quel punto non ebbe più la forza di plasmare il mezzo con il suo acume.
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