Per mantenere fede alla definizione che preferisce di sé, quella di cantastorie, Laurie Anderson ha appena finito di doppiare in italiano il suo Heart of a dog, nelle nostre sale distribuito da Nexo Digital (www.nexodigital.it) e Cinema srl solo per due giorni, il 13 e 14 settembre. Impossibile in effetti scindere l’artista dal film, una colluttazione tra intimità e visioni, tesa attorno alle composizioni di violino e alla sua voce pulita e rocciosa. Quella che ci inchiodò nel 1981 con O superman, il monito metallico e modulare a tenersi sempre pronti: ieri, per un attacco aereo, oggi, nella foga indagatoria post 11 settembre, a subire l’invadenza e l’abuso di chi registra ogni nostra conversazione. In Italia il brano fu associato alla campagna di prevenzione contro l’aids. Con lo strascico leggero che hanno gli anglofoni nel cantilenare la nostra lingua, al telefono dalla sua casa di Manhattan, esordisce con un «Buon giorno», tanto per allenarsi a tornare al Lido la prossima settimana per far parte della giuria della 73esima edizione della Mostra del cinema di Venezia (dal 31 agosto al 10 settembre), presieduta da Sam Mendes. L’anno scorso Anderson era dall’altra parte della barricata: Heart of a dog era in concorso ed era stato ben accolto dalla critica. «Sarà divertente fare la giurata perché le reazioni sui film sono sempre molto differenti. A volte arrivi con un’idea e poi cambi completamente prospettiva se qualcuno ti fa notare quello che l’autore ha cercato di dire. Il risultato finale dipende molto dalla chimica e dall’energia che nasce tra le persone».
Anderson cerca collanti, corde, intrecci, come la sua arte fatta di commistioni: suoni elettronici, disegni, installazioni, sculture, opere teatrali. Anche il suo film è un collage di immagini, dalle più recenti fino a risalire su su nell’infanzia degli 8 millimetri nel baule del found footage. Per poi associarle allo scorrere dei cavi della tensione elettrica, rami di alberi scheletriti dall’inverno, fanali di auto sfuocati nell’acquerugiola. Sopra a tutto però il suono: «Ci ho lavorato come se stessi producendo un disco, altrimenti era veramente difficile accettare le immagini a bassa risoluzione». Heart of a dog è infatti un film a bassissimo budget, girato con telecamere digitali, GoPro, iPhone e droni. «Non potevo permettermi attori e non li volevo nemmeno. Era per me come un radio sceneggiato. Avevo bisogno di immagini potenti e nello stesso tempo semplici, che potessi velocemente tagliare, a fronte di una storia molto complicata, fatta solo di parole». Recitano gli amici, come Julian Schnabel, nei panni di un pittore, e, nella parte di un medico, il compagno Lou Reed, scomparso nel 2013, cui il film è dedicato. Heart of a dog è un modo anche per accomiatarsi da lui ,- i titoli di coda scorrono sulle note di Turning Time Around – e da altre figure importanti per l’artista, scomparse negli ultimi anni: la madre di Laurie, Marie Louise, e la cagnetta Lolabelle, vera protagonista. Mentre in Cuore di cane di Michail Bulgakov è l’animale a divenire uomo, in Heart of a dog è Laurie, in disegni animati creati da lei a mano, a partorire in sogno Lolabelle. Un rovesciamento in chiave buddista che può significare rinnovamento della vita e trascendenza in cui le convinzioni giocano con l’ironia, come nelle scene in cui Lolabelle suona il piano. Il Bardo Todol, il libro tibetano dei morti, è sempre sullo sfondo. «Ho scoperto il Bardo – stato di transizione tra la morte e la reincarnazione n.d.r. -negli anni Settanta ma ho letto solo le sezioni e i commenti che ero in grado di capire. È un testo molto difficile, di cui è importante catturare l’idea, senza magari capirne tutte le sfumature; ma questo capita anche con altre grandi opere, come i romanzi russi». Un’universalità cui si ispira anche Heart of a dog. «Non è un’elegia per una persona in particolare, solo la presa di coscienza che la morte diventa energia. Parto dalla mia storia personale, in cui è coinvolto mio marito, mia madre e il mio cane per porre questioni condivise: dove stiamo andando, chi siamo, cosa vogliamo». La figura della madre è però ricorrente, come un bruciore continuo e irrisolto: «Ho sempre desiderato una mamma gentile e calorosa. Era invece molto intelligente, ma un po’ confusa, scarsamente empatica. Ha fatto del suo meglio, le sono molto grata per avermi insegnato ad amare i libri». Una volta Laurie le si era presentata dopo aver salvato i fratelli gemelli dall’annegamento nella pozza di un lago ghiacciato, dove erano cascati per colpa sua. Una scena simile al primo episodio del Decalogo di Krzysztof Kieślowski, riaffiorata nei filmini dell’infanzia :«Ho rivisto me, i miei fratelli e mia madre pattinare… mi è tornato alla mente tutto un vecchio mondo ghiacciato perduto». E il riscatto di un rapporto difficile tra madre e figlia: «Mi sentivo estremamente colpevole, stavo per uccidere i miei fratelli e mia madre invece di sgridarmi mi ha fatto i complimenti per come avevo nuotato. Mi ha dato fiducia in me stessa e ho capito che le parole possono cambiare il mondo». D’un tratto fa capolino lo spirito di David Foster Wallace nella suggestione provocata dal titolo della sua biografia scritta da D. T. Max , Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi,(Einaudi, 2013). «Wallace non è una fonte d’ispirazione, ma ha uno stile molto affascinante, intenso e denso, pervaso da una sorta di ossessione accademica che si esprime nei dettagli e non in un linguaggio emozionale». Heart of a dog è pieno di fantasmi che non hanno nulla di oscuro, solo la leggiadria malinconica di quelle figurette che si involano sulla scopa in Miracolo a Milano di Vittorio De Sica, il film preferito da Laurie Anderson.
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