«A good person» di Zach Braff con la promessa del cinema Florence Pugh e il premio Oscar Morgan Freeman doveva essere uno dei film di punta per la piattaforma, ma la sceneggiatura è uno slalom di disgrazie e contraddizioni
A good person poteva essere la dimostrazione che le performance di due bravi attori sono in grado di far perdonare le melensaggini che gli americani ci propinano con i loro dramedy. E invece Zach Braff, attore, regista e produttore, dopo tre commedie (la migliore La mia vita a Garden State con Natalie Portman del 2004), ci prova con una storia seria, ma la infarcisce di disgrazie e sgrammaticature.
Il film doveva essere uno dei fiori all’occhiello di Sky Original e invece fa quasi naufragio, pur avendo come protagonisti la nuova promessa del cinema e idolo teen, Florence Pugh, e il premio Oscar Morgan Freeman. Non è che i due, nei panni di Allison e Daniel, nuora e suocero in predicato di diventare tali, recitino male: impossibile per Freeman e lo stesso vale per Pugh, ottima Amy nelle scatenate Piccole donne di Greta Gerwig (2019), per cui è stata candidata agli Oscar come miglior attrice non protagonista. Il problema è che Braff, famoso per essere stato il feticcio della celeberrima serie comica Scrubs – Medici ai primi ferri, non li usa correttamente.
Tutto inizia in un’atmosfera prematrimoniale dove si intuisce che i rapporti dei nubendi con le proprie famiglie di origine sono funestati da un passato di comportamenti non troppo ortodossi nei rami maschili. Le nozze sono un’occasione per cementare nuovi legami in una diffusa aria di festa. Si brinda e si canta, quand’ecco che la ghigliottina del destino cala implacabile su chi poteva essere felice. A dir la verità, Daniel/Freeman ci aveva lanciato un avvertimento nel prologo facendoci subodorare la tragedia e Allison da promessa sposa si trasforma in vittima (o carnefice?) di un incidente automobilistico, dopo il quale cade nel gorgo dell’ossicodone, un farmaco che lenisce i dolori creando uno stato di tossicodipendenza.
Si passa così violentemente dalle banalità delle mossette, motteggi e movenze da cartoon, tipiche delle serie televisive adolescenziali, al carico da novanta di una famiglia falcidiata. Pugh è un’interprete dai colori scuri, con un viso estremamente espressivo e riesce a dominare la parte. Ma la sceneggiatura, scritta dallo stesso Braff, fa acqua ovunque, a partire dalla madre di Allison, che la tratta come una bambinaccia che si è presa la febbre perché è uscita senza cappotto.
Lei non solo ha perso tutto, fidanzato, lavoro, speranza, ma viene anche vessata da vecchi compagni di scuola che la incontrano in astinenza in un pub e si dimostrano così gratuitamente cattivi che perfino i fratelli Grimm li avrebbero stralciati dalla favola.
C’è anche da dire che abbiamo appena visto al cinema l’indimenticabile (e Leone d’oro) Tutta la bellezza e il dolore di Laura Poitras sul calvario di Nan Goldin, causato dall’Oxycountin, che qualsiasi racconto su questo tema o si tiene a livello altissimo o puzza di raccogliticcio e falso. Magari il regista avrebbe potuto sfruttare la voce da contralto di Pugh per dare sfogo al suo patimento e invece Braff le fa intonare all’inizio una canzone e la lascia giocherellare qualche volta sul piano, facendo rimanere a bocca asciutta lo spettatore che ha intuito il potenziale canoro dell’attrice.
Insomma, Pugh si fa rimpiangere, e non per colpa sua, per la parte da protagonista nel campione di incassi Don’t worry darling di Olivia Wilde con Harry Styles, un sci-fi da venti milioni di dollari a metà strada tra Matrix e The Truman show.
Freeman ce la mette tutta con quel suo fare orgoglioso e fiero a dare una dignità alla storia, ma la sua disponibilità ad aiutare Allison e poi il desiderio di metterla in croce lo costringono a un comportamento schizofrenico con tanto di spiegoni da telenovela brasiliana per lo spettatore duro d’orecchi, di comprendonio o piombato in quel momento sul divano. Da che pulpito poi vengono le sue prediche! Ma su questo aspetto bisogna tacere per rispettare il codice etico non spoiler.
Braff in questo pastone non tralascia la diversity, il fidanzato di Allison è infatti di colore, e lo scontro generazionale sul sesso, ma si astiene almeno sul fronte LGBT. C’è poi il tema del perdono e della responsabilità individuale con morale annessa. Ma, con un contorsionismo da trapezisti, i nostri eroi ce la faranno e il mondo di nuovo si colorerà (faticosamente) di rosa.
SSSSS
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Zach Braff
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Cristina Battocletti