In una Rimini invernale: ritratto di un’Europa in mutazione, vecchia, egoista e kitsch
Ulrich Seidl è sempre divisivo: c’è chi considera pornografia i suoi film di surrealtà documentaria (non è un ossimoro), mentre altri, come chi scrive, continuano a vedere nei suoi lavori qualcosa di disturbante, che mette a nudo, estremizzando, gli incubi dell’Europa. Rimini, presentato alla scorsa Berlinale e nelle sale per Wanted dal 25 agosto, non fa eccezione: nel tratteggiare l’epica del suo eroe, Richie Bravo (Michael Thomas), un cantante neo melodico austriaco, conserva i caratteri estremi e ridondanti del cinema di Seidl.
Richie è un playboy di mezza età, con la coda di cavallo sfibrata, un fisico da ex mago della balera che scorrazza in pelliccia sulla riviera romagnola invernale. Negli alberghi vuoti canta in tedesco per turisti appena scaricati dai pullman e fornisce consolazione prezzolata a signore in cerca di svago. «Mentre scrivevo la sceneggiatura di Rimini mi ero concentrato sulla figura di un cantante intrattenitore in un resort all inclusive. Ma quando ho cominciato a immaginare il personaggio di Richie Bravo, quest’ultimo ha preso il sopravvento e la sceneggiatura è completamente cambiata. Pensavo di girare un solo film e invece sono diventati due». Il prossimo, Rimini 2 vedrà protagonista il fratello di Richie, che vive in Romania. È lo stesso processo che ha reso Paradise, pensato per una pellicola unica, una trilogia: in Love (2012) la protagonista, Teresa, pratica turismo sessuale in Kenya; in Faith (2012) la sorella di Teresa, Anna Maria, cerca di convertire gli infedeli al cristianesimo, facendo del proselitismo all’ingrosso. In Hope (2013) l’obesa tredicenne Melanie, figlia di Teresa, si innamora, ricambiata, di un dottore di quarant’anni più vecchio di lei durante un soggiorno per una terapia dimagrante. La fotografia di un continente in decadimento, destinato alla decrepitezza, egoista e depravato: «In realtà, non parto mai da una tesi. Cerco di ritrarre le situazioni il più autenticamente possibile in un’Europa in continuo cambiamento».
Seidl gira indifferentemente film documentari (lo ha fatto soprattutto all’inizio della sua carriera) e di finzione. Safari (2016), in cui raccontava di bolse famiglie occidentali per cui erano state organizzate battute di caccia edulcorate, era nato dal documentario Nel seminterrato (2014), in cui Seidl spiava l’Austria curiosando tra le cantine, scovando una piccola enciclopedia di orrori e di bizzarrie. Tra il pistolero mancato, i nostalgici di Hitler, il custode di grandi rettili, il sessuomane, c’era una coppia che si rifugiava in un salottino sotterraneo, addobbato con teste di grandi animali e uccelli impagliati, trofei di caccia del marito. L’Austria, dove il regista è nato, è luogo d’origine di molti incubi del Novecento, raccontati da Roth, Zweig, Musil, Schnitzler: «Il mio Paese, oltre ad avere scatenato una delle catastrofi più terribili del XIX secolo, la Prima guerra mondiale, è stato la patria di un gran numero di artisti e scrittori, spesso di origini ebraiche. Nonostante fosse una cultura fiorente, ha dato radici al nazionalsocialismo». In Rimini si vede il padre di Richie Bravo (Hans-Michael Rehberg) fare a un certo punto il saluto nazista. «Ho immaginato che il padre fosse nato durante il periodo del successo politico hitleriano, ma non che fosse necessariamente nazista. Il passato è semplicemente un tarlo nella testa e nel corpo che a un certo punto si esprime nel saluto hitleriano. Ma è una mera questione di identità generazionale. Piuttosto insisto su delle tare personali che Richie si porta dietro, eredità del padre, che li abbandonò da piccolo. Richie si trova a fare lo stesso con la figlia che lo cerca dopo diciotto anni e gli presenta il fidanzato islamico. Fatto che lui vive come una provocazione».
La Rimini di Seidl è una città diversa dal sunsplash che conosciamo: è livida, squallida e tragicamente kitsch. «Mi piaceva l’atmosfera della nebbia, di isolamento, di pioggia e di spiagge vuote. A un certo punto è arrivata inaspettata una nevicata: è stato un dono straordinario. Ero strabiliato dalla possibilità di catturare questo inconsueto velo bianco che si stendeva sulla sabbia. Mi ha ispirato una scena fuori dallo script in cui Richie Bravo danza sul terrazzo». Richie Bravo è in fondo un freak, un circense. C’è un rimando a Fellini?: «Nessuno, anche se ho dovuto fare i conti con l’idea che Rimini era la città natale di un grande regista. Ma se Fellini non avesse chiamato il suo più famoso film La dolce vita, avrei di sicuro usato questo titolo per la saga di Richie Bravo». Ride Seidl. Certo, se i suoi film ci preannunciano il nostro futuro c’è poco da stare allegri.