Il bambino nascosto si rivela al cinema

Il nuovo film di Roberto Andò racconta la storia di un ragazzino, ricercato dalla camorra, che trova rifugio nella casa di un pianista

Scostando prudentemente le tendine delle finestre per non essere visto, Gabriele Santoro (Silvio Orlando) assiste a un litigio nel cortile dell’antico palazzo delabrè, in cui abita a Napoli. Sente un vociare insistito e dei loschi figuri cercare un ragazzino svanito nel nulla. Così inizia Il bambino nascosto di Roberto Andò, film presentato Fuori concorso a Venezia, ora in sala.

Gabriele è un pianista che insegna al Conservatorio di San Pietro a Majella e vive, per scelta, nel quartiere popolare di Forcella come un corpo estraneo, avulso ai suoi abitanti, per lo più malavitosi, incolti, vestiti con abiti sgargianti e di cattiva fattura.


Gabriele in quel quartiere rifugge dalla vita altoborghese che avrebbe potuto condurre, con una famiglia di magistrati di peso alle spalle e, nello stesso tempo, dal suo talento pianistico che gli avrebbe potuto spianare una brillante carriera. In quell’appartamento, che conserva una bellezza aristocratica in mezzo agli altri, riempiti dalla volgarità dei soldi facili, sembra voler fermare il mondo, recitando versi di poesie, sottraendosi alla fatica di stare alla ribalta, al compromesso di un’esistenza decisa dal suo censo.

Si è nascosto tutta la vita Gabriele ed è per questo che, quando nella sua casa scivola di soppiatto Ciro, il ragazzino che ha sfidato la camorra con gesto malavitoso, lascia che il ragazzino trovi rifugio nelle sue stanze, infilandosi in un vicolo cieco. Rischia la ritorsione della Camorra, da cui non lo salverà nemmeno la polizia, collusa con il sistema.

Intanto tra il maestro e il bambino inizia una convivenza, in cui Gabriele e Ciro si annusano, si subiscono e da cui sono reciprocamente incuriositi, come due animali opposti, che si attraggono e si detestano, quando l’uno diventa lo specchio dei difetti dell’altro.

Ciro non vuol dire a Gabriele il motivo per cui è ricercato, mentre Gabriele tace al bambino i motivi della sua vita ritirata e solitaria. Ma i segreti più intimi di entrambi sembrano venire a galla dagli sguardi, dai gesti, dalle persone che entrano nell’appartamento e non sanno di essere osservati da altri occhi. E mentre tutta la comunità criminale pare stringersi attorno a loro minacciandoli, i due conviventi forzati crescono l’uno nel segno dell’altro.

Gabriele esce dal suo guscio, essendo costretto a occuparsi di qualcun altro; Ciro impara l’importanza dei sentimenti, un punto di vista diverso da quello della legge della giungla e della sopraffazione, nei cui dettami è cresciuto.

Ed è amore quello che lega alla fine il maestro e il ragazzino, che comincia a sentire pericolosamente la forza irrinunciabile dell’affetto e della bellezza.

Roberto Andò, che è uomo di teatro, di cinema e di lettere, racconta ne Il bambino nascosto una storia che aveva narrato già sulle pagine dell’omonimo romanzo (La nave di Teseo, 2020) con una forza di narrazione per immagini che si impone quanto quella della pagina stampata. Andò, palermitano, anche lui “protestante” nel luogo sbagliato, come lo sono stati i suoi maestri, Leonardo Sciascia e Francesco Rosi, racconta Napoli, città amata, e che in questo momento sembra sia il polo attrattivo del cinema di oggi (solo alla Mostra del cinema, altre due pellicole sono ambientate nella città partenopea: È stata la mano di dio di Paolo Sorrentino, Qui rido io di Mario Martone) con la sua umanità viva e ferita assieme.

Alla lezione civile, Andò associa sempre la riflessione pirandelliana: l’uomo diviso, l’anima che nasconde un’altra anima, in cerca di fuga dai legami cui le origini e il tempo condannano un individuo. Come accadeva al gemello scrittore del politico esacerbato in Viva la libertà (2013), tratto anch’esso da una romanzo del regista, Il trono vuoto (Bompiani, 2012). Come è sempre presente il tema dello spaesamento sociale e politico evidenziato anche ne Le confessioni (2016).

Il bambino nascosto è un film ottimamente girato, recitato da un Silvio Orlando in una delle sue massime espressioni attoriali di uomo roso dal dubbio dell’intelligenza. E circondato da altrettanto grandi e bravi interpreti (Herlitzka e il camorrista Lino Musella), cui si aggiunge la rivelazione del giovane Giuseppe Pirozzi. Un film che non ha paura del sentimento, senza essere sentimentale.