Nell’America senza compassione: l’intervista ad Andrew Haigh, regista di “Charley Thompson” nelle sale dal 5 aprile

Charley Thompson, protagonista dell’omonimo film di Andrew Haigh, nelle sale dal 5 aprile, è un ragazzino con i tratti esili e l’ingenuità di chi si è appena disfatto dell’infanzia. Il regista britannico ha tratto la sceneggiatura del film dal romanzo La ballata di Charley Thompson di Willy Vlautin (Mondadori, 2014), ambientato in una cupa e umanamente disperata provincia americana, riuscendo a mantenere la mancanza di retorica del testo: «È una bellissima storia di solitudine e di dolcezza con una scrittura eccellente e caratteri ben delineati.


Il fascino maggiore di Charley, cresciuto senza gli affetti che dovrebbero essere garantiti a un bambino, risiede nella speranza di trovare prima o poi un porto sicuro, nonostante la società lo isoli e lo respinga tra gli indesiderati. È un ragazzo con una forza incredibile, la cui gentilezza è più coriacea delle durezze che si trova ad affrontare. La sua fragilità coincide con la bontà d’animo, anche quando soccombe ai sentimenti negativi e si macchia di cattive azioni. Il suo senso di pietà emerge quando deve salvare il cavallo da corsa, Lean on Pete, cui si è disperatamente legato». Per l’interpretazione di questo adolescente, abbandonato dalla madre, cresciuto da un padre più bisognoso di guida del figlio, Charlie Plummer ha conquistato il Premio Mastroianni come attore rivelazione alla scorsa Mostra del cinema di Venezia. «Charlie mi ha mandato un video – racconta il regista -, in cui mi spiegava di essere perfetto per la parte. Più lo guardavo e più pensavo avesse ragione: c’è qualcosa di deciso e di sensibilissimo in lui e nella sua recitazione, come se fosse in continua ricerca di catarsi». Vien da pensare che quella sofferenza trattenuta, la dignità vigile che cede all’abbrutimento solo in condizioni estreme, la tensione costante verso un miglioramento non sia esclusivamente una prova attoriale, ma un sentimento molto intimo a Plummer, che ha vissuto sulla sua pelle la precarietà di un bambino che ha cambiato otto scuole. Haigh, prima delle riprese durate otto settimane, ha incontrato l’autore, Vlautin, e ha fatto diversi sopralluoghi nei posti che fanno da sfondo al libro: in primis, Portland e la pista da corsa, Portland Meadows, per poi spostarsi in Oregon, Idaho, Wyoming, Utah e Colorado, come l’eroe della pellicola. «Il contesto americano è molto interessante. Le fondamenta degli Stati Uniti sono la libertà e l’autodeterminazione, ma c’è un lato oscuro dell’individualismo, che condanna a soccombere le persone rimaste indietro. Nelle sue peregrinazioni Charley viene a contatto con singolari comunità: l’ambiente dei cavalli, le famiglie che vivono nel deserto. Sono delle entità a se stanti che il resto del mondo non comprende e non assimila. Credo che in America la situazione di degrado sociale sia peggiore rispetto all’Europa, perché non vi sono abbastanza reti di salvataggio per chi cade e non riesce a rialzarsi. Non c’è compassione». A contrastare lo squallore umano si impone il paesaggio dalla maestosità quieta, reso con l’uso di campi lunghi, carrellate, dolly e lente zoomate: «Per quattro mesi ho riflettuto su quale fosse il migliore modo per adattare i luoghi allo schermo, su come muovere la macchina da presa, su cosa volevo mostrare e cosa no». Molto gioco ha la fotografia, debitrice della lezione cinematografica scandinava, del danese Magnus Nordenhof Jønck: «Magnus ha usato il più possibile le luci naturali per catturare la bellezza selvaggia dei luoghi; abbiamo passato molto tempo ad aspettare la luce giusta per rendere romantico il paesaggio». Haigh ha dimostrato la sua abilità registica lavorando anche sullo spessore emotivo degli attori, facendo conquistare ai suoi protagonisti i massimi riconoscimenti nelle rassegne cinematografiche in cui i film sono stati presentati. Per l’interpretazione di 45 anni, storia di segreti e incomunicabilità in una coppia matura, Charlotte Rampling e Tom Courtenay si sono aggiudicati l’Orso d’Argento a Berlino nel 2015. «Nonostante la grande differenza di età, tra Charley e gli interpreti di 45 anni vi sono molti punti in comune. Da quando abbiamo 15 anni proviamo per lo più le stesse emozioni e le stesse paure. E continuiamo ad avere gli stessi bisogni e dubbi. La maggiore esperienza non immunizza dalla sofferenza». L’inizio della carriera di Haigh, dichiaratamente omosessuale, è stata contrassegnato dall’impegno sui temi LGBT, che sono stati il focus di Greek Pete (2009) e Weekend (2011), film che gli ha regalato la notorietà: «La lotta per i diritti gay ha fatto grandi passi avanti, anche se esistono posti orribili in cui la gente viene imprigionata per la sua omosessualità. Se l’uguaglianza è riconosciuta dalla legge, poi anche la testa delle persone cambia ».
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