Nel bicentenario della nascita, Raoul Peck racconta il suo Marx, dal 5 aprile sugli schermi: “Urgente oggi più prima”

Forse per osmosi con la sua vita romanzesca, Raoul Peck è riuscito con Il giovane Karl Marx, dal 5 aprile nelle sale, a ricostruire con rispetto e profondità la complessa figura del più studiato, contestato, “sequestrato” filosofo contemporaneo. Nato a Port-au-Prince nel 1953, ingegnere e regista, fotografo e giornalista, Peck rimane in esilio volontario negli anni della dittatura del suo Paese per poi ritornarvi dal 1995 al 1997 come Ministro della cultura. Primo regista caraibico ad accedere al tempio dei grandi festival – fa ingresso a Cannes nel 1993 con L’homme sur les quais -, ha il suo salotto naturale a Berlino, dove si è diplomato in regia e dove il Sole 24 Ore lo ha incontrato. «Negli anni Settanta e Ottanta ho studiato in Germania, dove era impossibile intavolare una discussione senza conoscere Marx. Ho frequentato quattro anni di seminario sul Capitale e tuttora utilizzo quei preziosi strumenti. Quando non capisco una situazione la prima domanda che mi faccio è: dove è il profitto? Chi sta guadagnando? Chi è il dipendente, chi è il proprietario? Donald Trump non vuole statistiche, né numeri, perché parlano. Si possono interpretare differentemente, ma non mentono e Thomas Piketty ha avuto un grande riscontro perché è tornato a ragionarci sopra».


La carriera cinematografica di Peck è contrassegnata dall’impegno politico. Il film Lumumba (2000), sul primo presidente della Repubblica democratica del Congo, Paese dove il regista ha vissuto, Moloch Tropical (2009) sul terremoto ad Haiti, I Am Not Your Negro (2016) su James Baldwin e sul movimento per i diritti civili negli anni Cinquanta e Sessanta in America. E ora Marx: «Ho iniziato questo progetto dieci anni fa, perché avvertivo che intorno a me cresceva l’ignoranza, la stampa degenerava adeguandosi, spesso senza accorgersene, alle necessità dei poteri forti che guidano i giornali. Ugualmente noi cittadini non abbiamo avvertito il mutamento in atto nelle società capitalistiche in cui viviamo. Non possiamo continuare a non reagire di fronte al degrado ecologico, alle discriminazioni, alla concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi Paesi ricchi, al rifiuto degli immigrati che hanno legittimità di essere accolti quando fuggono dalla guerra, ma anche dalla povertà. Noi tendiamo a rapportarci sempre a un periodo di breve durata, ma se dobbiamo ragionare sul voto dato a Trump dobbiamo rifarci a cambiamenti in atto già all’epoca dei governi di Berlusconi e di Sarkozy, fratelli di una corrente più generale probabilmente nata con Reagan e Thatcher. Ovvero un approccio molto capitalistico e populista, che nega autorità alla scienza e alla logica. La nostra è una società in difficoltà, in cui manca la solidarietà e le relazioni tra colleghi si indeboliscono perché ciascuno ha paura di perdere il proprio benessere. Marx oggi è ancora più urgente e attuale di prima». Raoul Peck si potrebbe dire, dunque, marxista. «Il mio approccio a Marx è accademico, mai dogmatico. Non sono mai stato marxista, né ho mai preso tessere di un partito perché mi impedirebbe di svolgere il mio lavoro di libero pensatore e di critico della società. Esattamente come Marx ed Engels fecero nel proprio tempo contestando, giovanissimi, a due mostri sacri come Hegel e Feuerbach di non essere andati abbastanza lontano. L’Europa allora era dominata dalla depressione economica, scarnificata dalle carestie e dalle disuguaglianze, la rivoluzione industriale iniziava a produrre una grossa ricchezza per una minoranza. A Manchester i bambini giravano d’inverno senza scarpe e per dormire qualche ora i lavoratori affittavano delle corde a cui appendersi in piedi». La Storia ha legato però Marx ed Engels ad altrettanto grandi ingiustizie commesse dalle dittature comuniste. «Per questo bisogna tornare alle origini dei loro scritti, senza farsi irretire dalle false informazioni, dalla propaganda, dal pensiero dogmatico di destra e sinistra. Marx fu un incredibile economista e filosofo, le cui idee sono ancora il perno dei libri contemporanei di sociologia ed economia. Le dittature hanno attuato nei suoi confronti il più grande sequestro della Storia appropriandosi e distorcendo a proprio fine le sue teorie. Marx non è responsabile delle mostruosità che sono accadute nell’Est Europa o dei genocidi ad opera di Pol Pot o di Mao Tse-tung. Sotto questi regimi totalitari Karl, la moglie Jenny e Friederich sarebbero stati i primi a essere uccisi perché liberi pensatori. La gente tende a dimenticarsi che predicavano l’emancipazione dell’intera società attraverso l’emancipazione di ogni individuo. E questo è contrario a ogni forma di totalitarismo o collettivismo, in cui i dissidenti vengono liquidati. Tutte le rivoluzioni producono un mostro». Marx nasceva il 5 maggio di duecento anni fa. «Nel Manifesto del partito comunista che fu scritto da Marx ed Engels tra il 1847 e il 1848 si descrive una crisi molto simile a quella che viviamo ora: la pazzia di un mondo basato sulla finanza. Le nuove generazioni, che si alienano con il telefonino e i social network, non devono far altro che tornare indietro e studiare Marx, perché l’alienazione è un concetto inventato da Marx».
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