A gennaio nelle sale il film di Paolo Virzì, “Capitale umano” sul libro dello scrittore americano, a Torino come giurato alla 31esima edizione del Torino Film Festival
Stephen Amidon e Paolo Virzì hanno l’espressione di chi si trova in armonia. Sono a Torino per la 31esima edizione del Torino Film festival, di cui il regista livornese è presidente.
Da sinistra, Paolo Virzì e Stephen Amidon, insieme alla 31esima edizione del TFF
Lo scrittore americano è qui come giurato del concorso che si chiuderà il 30 novembre e il soggiorno piemontese è diventato l’occasione per visionare in anteprima una prima versione di “Capitale umano”, il film che Virzì ha tratto dall’omonimo romanzo di Amidon e che dovrebbe uscire il 9 gennaio prossimo nelle sale. “Sono rimasto incantato, mi è piaciuto moltissimo – spiega l’autore 54enne, originario di Chicago -, anche se non posso essere un buon giudice, visto che la pellicola è tratta da una storia concepita da me. Già quando avevo letto la sceneggiatura – scritta dallo stesso Virzì, Francesco Piccolo e Francesco Bruno – ero rimasto rapito da come fossero riusciti a rispettare il mio libro, che è difficilmente adattabile sullo schermo”, continua Amidon, che di cinema se ne intende. è stato a lungo critico cinematografico e letterario, nonché giornalista culturale tout court, per importanti testate come il Financial Times, Sunday Times e The literary Review. “Ho trovato le performance degli attori fantastiche – continua quasi emozionato Amidon e cita Valeria Bruni Tedeschi per omaggiare tutto il cast molto promettente, composto da Fabrizio Bentivoglio, Valeria Golino, Luigi Lo Cascio, Fabrizio Gifuni, Bebo Storti-. Sono riusciti a trasformare una storia ambientata in America in una vicenda italiana senza snaturarla. Credo che l’era di Berlusconi e la crisi finanziaria ed economica italiana attuale, che Virzì rappresenta, sia molto simile a quella del mio Paese sotto la presidenza di Bush. Una cultura dominata dalla corruzione e dallo spreco, che ha portato gli Stati Uniti all’insensata guerra contro l’Iraq”. Il film racconta la decadenza del nostro Paese, quanto “Capitale Umano” di Amidon analizzava le difficoltà statunitensi attraverso le vicende di un perdente che cercava il riscatto con i guadagni della finanza. Forse il parallelismo tra i due Paesi è aiutato dal fatto che Amidon ha lavorato dodici anni a Londra e conosce bene l’Europa e perché – spiega al Sole 24 Ore – l’esperienza più formativa e indimenticabile della sua giovinezza l’ha fatta a Venezia, dove ha studiato sei mesi. La sua università, la Wake Forest University, dove ha studiato filosofia, aveva un dipartimento proprio nel capoluogo veneto. “Ricordo l’atmosfera strabiliante, l’incredibile privilegio per un ragazzo della provincia americana di poter aprire le finestre sul Canal Grande”. Mastica ancora qualche parola di italiano Amidon e capisce piuttosto bene la lingua per uno che non la allena con frequenza. Ma nonostante l’amore per l’Europa e la forma mentis più simile a quella del vecchio continente, lo scrittore vive nel New Jersey, un po’ di discosto dalla grande città. “Perché sono padre di quattro figli ed è più semplice e più sicuro allevare i ragazzi in provincia. Ma soprattutto perché questo è il mio Paese, qui riesco a raccontare le mie storie e a far emergere le devianze”. Per Amidon il thriller e il noir non sono altro che teste d’ariete per descrivere la società americana, come ha fatto John Cheever, a cui l’autore si ispira manifestamente e Tom Wolfe. Forse rispetto a quest’ultimo autore, maggiore è l’introspezione psicologica che Amidon riserva ai suoi personaggi. E’ quella che ha colpito Virzì, che ha letto tutti i suoi libri, su consiglio di Niccolò Ammaniti e che lo ha spinto a scrivere una lettera di presentazione ad Amidon, offrendosi di trasporre sullo schermo la sua novella. Dopo aver visto “La prima cosa bella” e “Caterina va in città”, Amidon si è prodigato per far avere i dirittti del libro al regista. “Sono rimasto impressionato dal forte potere di attrazione della narrativa di Virzì e dalla complessità con cui rendeva le tematiche sociali senza rinunciare a dare profondità psicologica ai personaggi”. Virzì da parte sua ha lasciato il cotè proletario per analizzare la borghesia, che è al centro della letteratura di Amidon. “Descrivo la borghesia – sottolinea lo scrittore americano – perché i miei genitori erano borghesi. È la fascia in assoluto più in pericolo in questo momento, perché è quella che deve affrontare la più grande delusione dei propri sogni, loro che credevano a un benessere a una felicità eterna. In Italia e in Europa in generale avete un maggior senso della caducità delle cose e della morte, che la società americana non contempla in alcun modo, drogandosi del mito della giovinezza infinita”. Torino, che vede per la prima volta, lo affascina molto. “Sarebbe bello vivere qui in un futuro o comunque in Europa. Ma all’età della pensione. Ora il mio compito è in America per sviscerare i mali del mio Paese”.