Fischi per il film di Amelio. Il regista: “E’ un film sulla dignità del lavoro”

 

Di Cristina Battocletti

 

Fischi in sala controbattuti da qualche applauso, “L’intrepido” di Gianni Amelio non è stato accolto unanimamente dalla critica della 70esima edizione della Mostra del cinema di Venezia.

 

Racconta la storia di Antonio Pane, che di mestiere fa il rimpiazzo, ovvero sostituisce gli altri quando non possono lavorare, quando – come dice lo stesso protagonista nel film – “uno deve assentarsi per andare a un matrimonio o a una comunione”. Pane, impersonato da Antonio Albanese, è a suo agio in una parte pensata su misura per lui, come ha scritto lo stesso regista su Domenica del Sole dello scorso 25 agosto. Si presta per un’ora, una mezza giornata, o se è fortunato più giorni, dietro incarico di Maltese (Alfonso Santagata), un non meglio identificato gestore di  una palestra, dove si pratica la boxe, copertura di un giro malavitoso. Maltese prende una percentuale sulla giornata di Pane e a volte anche l’intera somma, visto che Antonio fatica a riscuotere la paga. Una vicenda inventata, come Amelio tiene a sottolineare subito dopo la proiezione: “Il cinema è fantasia. Ho però il timore che qualcuno prenda spunto dal film e davvero organizzi dei rimpiazzi”.

Così Albanese è operaio in un cantiere della Milano in costruzione – scena in cui Amelio ha voluto fare un omaggio anche Buster Keaton e Charlie Chaplin – tramviere, fattorino delle pizze, netturbino in uno stadio, venditore di rose nei ristoranti. Rappresenta la precarietà lavorativa di oggi, attorno a cui si intrecciano storie di precarietà di sentimenti e di vita in generale. Accanto a Antonio Pane gravitano le esistenze del figlio musicista, Ivo (Gabriele Rendina) e Lucia (Livia Rossi), giovane incontrata in un concorso pubblico e di cui il protagonista si innamora. Entrambi non riescono a trovare un posto nella società: Ivo non riesce a fare compromessi con la sua idea altissima di musica e si scontra con quelle che sono le esigenze commerciali; Lucia è schiacciata dalla mancanza di lavoro e di soldi.

Antonio cerca di aiutare entrambi con la sua bontà d’animo. “Penso che la pulizia e il candore alla lunga vincano e si vince non perché si hanno muscoli più sviluppati di altri, ma per la capacità di resistere alle intemperie – ha spiegato il regista subito dopo la proiezione -. Mi interessava porre al centro del film la dignità della persona, al di là del momento che attraversa. Questa non è una pellicola che si può definire univocamente come “Il ladro di bambini” (1992), “Lamerica” (1994), “Il primo uomo” (2006). C’è un aspetto quasi francescano: Antonio non guarda la qualità del lavoro che rimpiazza, lo fa perché lavorare lo nobilita, perché vuole avere un motivo per farsi la barba e uscire di casa la mattina”.

Argomentazioni su cui si trova d’accordo anche Albanese: “Il mio personaggio ha una dignità e una determinazione che invidio e che amo. Questo film rappresenta l’oggi, tentando di viverlo in maniera diversa. Io provengo da una famiglia operaia e sono felice che mi abbia insegnato il valore fondamentale del lavoro. A quindici anni mi sono impiegato in una piccola azienda metalmeccanica, ho fatto anche il barista, il cameriere. Questo mi ha reso non solo indipendente, ma più libero”.

Nel film si vede una Milano poco convenzionale. Ci sono i grattacieli in costruzione che circondano corso Como e il quartiere Isola, il parco al portello progettato da Charles Jenks e Andreas Kipar e molti luoghi che non identificano la città, come per esempio il Duomo: “Era da molto che mancavo da Milano, dai tempi di “Colpire al cuore” (1982) e ho voluto girare in posti dove la città cresce ed è in costruzione, una città nuova che sta prendendo forma. I cantieri fanno il futuro”.

Domani il film sarà nelle sale: “Mi aspetto che il pubblico veda il film e lo possa capire in modo innocente”. Definizione su cui concorda il produttore Carlo Degli Esposti: “Questo film è come una nuvola: mentre lo guardi, cambia.  E’ una lettera aperta di un padre a un figlio. E’ un calcio, una spinta alla nuova generazione perché ce la faccia. Penso che possa piacere al pubblico, sarei orgoglioso che lo vedesse più gente possibile”.