Chissà che deve aver pensato Gigi Riva, che ridacchiava imbarazzato quando lo riprendevano agli allenamenti, nel vedere Raffaella Carrà muovere le lunghe gambe velate sulla gigantografia del suo volto, cantando a Canzonissima 70: «O Gigi Riva del mio cuore… Sei travolgente, classico dio greco in short!». Mentre il brano scalava le classifiche e i bambini si mettevano in fila dal barbiere per farsi tagliare i capelli come l’attaccante che portò il Cagliari dalla serie B a vincere lo scudetto nel 1970, Riva rimase sempre il ragazzo di poche parole di Leggiuno, nel Varesotto, dove è nato nel ’44.
“Rombo di tuono” lo chiamava Gianni Brera per via del rumore che faceva il pallone appena il segaligno e lungo “Gigione” toccava il cuoio con la punta della scarpa nei suoi siluri imprendibili, che viaggiavano a 120 all’ora, tirati col micidiale sinistro. Nel nostro cielo un rombo di tuono è il titolo dell’appassionato, coinvolgente film che Riccardo Milani ha girato sul calciatore lombardo solo per nascita e che, pur conteso, non si spostò mai da Cagliari. Voleva ricambiare la fiducia dei sardi, introversi e chiusi, cui si sentiva affine, e che lo definirono homine balente. «Ero già un mezzo sardo prima di venire qui», spiega Riva in un’intervista del 1970 al Poetto, la spiaggia di Cagliari, dove Milani fa iniziare il suo racconto, anticipato da un ricordo personale, il tema che alle elementari il regista scrive sulle prodezze dell’atleta. Il film intreccia con sensibilità la vita privata del calciatore, nella finzione del ricordo infantile privo di retorica, semmai onirico, e l’intervista al Riva di oggi, sottile, ironica, dolce, secca, umile come è lui, circonvoluta dal fumo delle sigarette. I materiali di archivio preziosissimi, i brani rockabilly dell’epoca nei momenti di vittoria, il jazz nella malinconia delle sconfitte e degli infortuni.
Gigi Riva ha giocato 315 partite con la maglia del Cagliari, segnando 164 gol, e 42 partite con la Nazionale, diventando vice campione del mondo nel 1970 e tuttora capocannoniere con 35 gol. Ma il motivo per cui Milani, che ha firmato fortunate commedie sull’imbarbarimento dei costumi italiani (Come un gatto in tangenziale, 2017 e sequel nel 2022, per citare quelle campioni di incassi) è un omaggio alla dirittura morale, alla coerenza di un grande personaggio, che ha tentato tutta la vita di non esserlo. Nei titoli di coda il regista sceglie una frase «il coraggio, pagandone il prezzo, di sapere dire no a chi pensa di poter sempre comprare tutto». Gigi Riva infatti a un certo punto vale un miliardo, più della sua squadra, che viene comprata dai Moratti purché Riva non venga ceduto alla Juve (all’Inter avrebbe dato fastidio a Facchetti). Ma soprattutto era lui che non voleva andarsene dalla Sardegna e dai sardi, che gli avevano finalmente dato la serenità dopo una dura infanzia di pesanti perdite familiari. Crescono insieme Riva, i compagni di squadra e i suoi corregionali, perché con lo scudetto l’Italia si accorge che la Sardegna non è solo la terra dei sequestri, innescando nei sardi l’orgoglio, la forza di opporsi alla colonizzazione delle basi militari, lo scetticismo verso un’industrializzazione dimostratasi poi fallimentare. Il calcio è la loro riscossa, i tifosi si organizzano sotto la sferza di Marius, si arrampicano sugli alberi dello stadio Amsicora per sostenere i loro eroi e in trasferta imbandierano le navi di blu e rosso, portandosi nel continente il porcetto. Il Cagliari è una squadra eccezionale per tecnica e umanità dei calciatori, senza personalismi e sensazionalismi (dopo il gol al massimo Riva abbraccia un compagno), uno schema di gioco semplice e molta ironia, a partire dall’allenatore Scopigno. Si conquistano per questa loro sobrietà la simpatia di Ciotti, il sostegno di Pasolini, l’ammirazione di Pelé.
Milani, oltre ai compagni di squadra (Cagliari e Nazionale, in cui confluirono sei “sardi”), Mazzola, Albertosi, Reginato, Cera, Niccolai, Domenghini, Gori, Greatti, Tomasini, e a Zola, Barella, Buffon, Baggio, Massimo Moratti, Cristiano De Andrè, che rappresenta il padre Fabrizio, con cui Gigione aveva lunghi incontri silenti; intervista pensionati, tifosi, gli amici di sempre, pescatori, giornalisti, antropologi, dirigenti sportivi. Inserisce i tenores, che cantano a cappella, ricostruendo i momenti salienti con immagini d’archivio eccezionali, dall’arrivo nel 1963 a Cagliari, alla partita a Udine l’anno successivo che segna il passaggio in serie A e l’avvio del Grande Cagliari. Ma anche i latitanti che si consegnano pur di vedere la partita, Papa Paolo VI che arriva in Sardegna dopo lo scudetto, la mitica rovesciata a Vicenza, gli infortuni che coincidono con la discesa in classifica, i Mondiali. Nel nostro cielo un rombo di tuono è una storia d’amore e un moto di speranza per un Paese che può essere balente.
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Riccardo Milani
Nel nostro cielo un rombo
di tuono
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