La regista ha appena presentato alla Berlinale un documentario su quel che accade al corpo femminile in un ospedale ginecologico
«Il mondo dovrebbe realizzare il fardello che le donne portano con il proprio corpo e aiutarle. Simone de Beauvoir all’inizio de Il secondo sesso spiega che gli uomini vogliono tenerle sotto, perché sanno che sono le donne a generarli e che quindi la loro sopravvivenza dipende dal desiderio femminile. La mancanza di controllo li fa impazzire. Perché abbiamo tutti questi leader, Bolsonaro, Xi Jinping, Putin, che scatenano battaglie antiabortiste, omofobe, antifemministe? Perché hanno paura che le donne riescano a raggiungere l’uguaglianza. In questo giocano un ruolo anche donne orribili, perché, proprio perché siamo uguali, per ogni uomo orribile esiste una donna orribile».
Claire Simon è reduce dal successo alla Berlinale, dove nella sezione Special è stato proiettato il suo ultimo documentario, Notre corps, quasi tre ore di proiezione sulla vita di un ospedale pubblico parigino, in cui passa tutto lo scibile medico legato alla capacità procreativa femminile. Sulla carta poteva essere una visione difficile, anche per la durezza di certe riprese senza veli negli ambulatori e nelle sale operatorie. E invece lo sguardo pudico ma fermo di questa regista – che da più di trent’anni realizza film lasciando trasparire una realtà, nella gioia e nel dolore, più affascinante della finzione – ha inchiodato tutti, pubblico maschile e femminile (anche se due attempati signori se ne sono andati sbuffando dopo il primo quarto d’ora). Simon, una carriera costellata di premi e riconoscimenti, mercoledì festeggerà l’8 marzo. «Sono piena di speranza, fiera e fiduciosa per queste nuove generazioni di donne agguerrite. Sanno combattere con determinazione per i loro diritti, a partire da mia figlia, Manon Garcia».
La figlia Manon è una femminista, docente di filosofia pratica alla Freie Universität a Berlino, e ha scritto diversi libri, uno dei quali, tradotto in italiano, Di cosa parliamo quando parliamo di consenso. Sesso e rapporti di potere (Einaudi, 2022), sulla necessità di accettazione e sul desiderio nella nostra società. Quando Manon era piccola (ora ha 38 anni), la madre ha filmato il momento della pausa nel cortile della scuola, Récréations (1998), in cui ha dimostrato come i rapporti di potere si creino sin dalla tenera età, molto simili a quelli degli adulti. «Alcuni anni fa ero pessimista sul futuro delle donne – continua Claire Simon -. Ero convinta che avessimo perso, di essermi ingannata per tutta la vita e invece poi è arrivato il MeeToo e ho capito che le donne non avrebbero abbassato la testa». Partire da un ospedale ginecologico per sviluppare questa tesi è un’idea originale, ma ardua. «È venuta dalla produttrice del film, Kristina Larsen, che aveva passato due anni nell’istituto per la sua chemioterapia. Mi ha spronato a scoprire quello che vi succedeva dentro. I medici sono stati molto disponibili, la maggior parte dei pazienti è stata contenta di testimoniare, mentre chi si è negata lo ha fatto per obbedire al marito, che si è sentito di perdere la proprietà della moglie». C’è una donna nel film che sta per essere sottoposta a un intervento con anestesia totale. Prima di addormentarsi ha la forza di sussurrare con un sorriso: «Grazie a Claire Simon perché racconta quello che ci succede». Simon era già abituata agli ospedali: li aveva frequentati per il padre, malato di sclerosi multipla per vent’anni: «È stato un tempo sospeso, che ho ritrovato con questo film. Molto bello in un certo senso. L’ospedale è una metafora della vita».
I protagonisti del film sono giovani ragazze o donne mature che intraprendono un cammino per diventare uomini, coppie con difficoltà a procreare, donne che partoriscono naturalmente o con un cesareo, che si sottopongono alla fecondazione in vitro, pazienti affette da cancro all’utero, alle ovaie e al seno. A sorpresa, a un certo punto, è la stessa regista che si trova ricoverata per un nodulo asportato con una mastectomia. «Quando sono entrata per la prima volta in ospedale mi sono detta: “Spero di non prendere un cancro qui dentro”, come se fosse un’influenza!», commenta, ora che sta bene con i folti capelli ricresciuti. Il film ha un climax irripetibile a metà percorso con una nascita gloriosa e finisce con un’anziana signora. «Da subito ho voluto costruire la storia così. Mentre filmavo questa grande donna alla fine dei suoi giorni, fiera di essere ripresa nel suo rapporto con la dottoressa, piangevo. Quella era una realtà così forte che nessuna fiction potrà restituire. Quando al termine del montaggio abbiamo realizzato che Notre corps era piuttosto lungo, ci siamo dette: “non si può tagliare niente”». Notre corps è comunque un documento gentile, pur nella sua crudezza: «Lo è – ribatte la regista-, ma è la vita a non essere gentile, soprattutto con le donne».
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