Quanto è struggente “L’assassino timido” di Clara Usón

L’assassino timido di Clara Usón è un piccolo miracolo, come quello che si verifica, a volte, in treno quando si accende una comprensione profonda con un viaggiatore sconosciuto. Così accade tra il lettore e l’autrice, la cui abilità scrittoria, manifesta già nel libro di esordio, Noches de San Juan , Premio Lumen nel 1998, si è articolata (per ora) in sette libri, tra cui l’indimenticabile La figlia (Sellerio, 2013), inchiesta intima su Ana Mladić, la figlia di Ratko, che nel suo medagliere di carnefice annovera la strage di Srebrenica. L’assassino timido prende l’abbrivio da un’indagine emotiva sulla morte di una giovanissima diva del destape – il porno soft dell’era franchista – Sandra Mozarowsky, che, secondo la cronaca raggranellata sui giornali scandalistici, si sarebbe volontariamente buttata dal balcone di casa all’età di 18 anni. Il lettore segue Usón in percorsi inaspettati: sono tappe imprevedibili, che rispecchiano il nostro modo di vivere frammentato, riprodotto spesso dalla letteratura in esperimenti fallimentari di autofiction, che di contemporaneo hanno solo il riferimento egotico. Usón si tuffa in un diario, ma poi si ricorda di essere reporter, quidi scende nel pettegolezzo sulla stirpe reale, che diventa lettura antropologica e storiografica del tutto personale (ma, accidenti, se ha ragione) della dittatura e della democrazia; infine trascina giù dal loro Olimpo i suoi mostri sacri perché scendano a sporcarsi nella quotidianità. Il Virgilio della narrazione è Cesare Pavese, che veglia dall’exergo e dal titolo. “L’assassino timido” è l’espressione con cui lo scrittore definì chi commette suicidio, cui lui stesso andò incontro: un atto di masochismo e non di sadismo, un atto di sottomissione piuttosto che di ribellione. Usón pensa a Sandra e litiga con Wittgenstein, che si intromette nella sua vita, la bacchetta per la sua condotta, si permette, nella sua presunzione e genialità, di intervenire perfino nei confronti della mamma della scrittrice. Ed è la figura della madre il nodo centrale di questo libro urgente, con la falsa partenza del tema proposto dal titolo, scandagliato come un’esigenza primaria e declinato a partire già da La figlia, dove Ana Mladić si toglie la vita a 23 anni. La riflessione sul suicidio si trasforma in un omaggio pieno di rimpianto, e per questo vivo, nei confronti di una donna lontana e dura, che trasmette alla figlia i germi dell’autolesionismo, maschilista e però eroica nell’amore disperato, che si manifesta nelle fasi cruciali, e spesso esiziali, della vita. Usón sceglie di bistrattare quel borioso filosofo austriaco e il suo motto «su ciò di cui non si può parlare bisogna tacere» e abbraccia Čechov, che invece le apre la strada verso il sentimento. Per sé sceglie il coltello più affilato, riservandosi la cronaca più impietosa, affrontando un dolore terribile. A quel punto del viaggio il lettore non vorrebbe mai arrivare al capolinea e, tentando di usare le stesse strategie che la scrittrice spagnola mette in atto con Wittgenstein, la prega di allungare un po’, di aggiungere ancora qualche pagina. Ma il vagone si ferma, il lettore capisce che la sofferenza è depositata e Usón vi ha fatto pace: i generi e gli stili si sono infatti cristallizzati in equilibrio compiuto. Non resta che scendere commossi dal treno, pieni di struggimento, appagati di verità.
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L’assassinio timido Clara Usón Sellerio, Palermo, pagg. 186, € 15