L’orchestra che vince la barbarie: la favola di Paolo Rumiz per diventare grandi in pace

È una storia di venti, buoni e cattivi, La regina del silenzio di Paolo Rumiz, giornalista di «Repubblica» e autore di molti libri che hanno analizzato la nostra contemporaneità e la Storia che ci sta alle spalle, accompagnandola a volte con la trama del sogno o dell’incubo mitteleuropeo, che da triestino si porta dentro. Figli di un sogno sono i venti di questa fiaba, che si chiamano Invernone, Burja, Ustria e Severnaja, Brisa, Ilarione, Severino e Basilio; portano presentimenti e notizie prima che lo facciano gli uomini, aiutano i valorosi, spaventano i cattivi, muovono navi in imprese salvifiche. Sono loro ad avvertire che nella Terra di Passo, una pianura così piatta che i fiumi possono cambiare corso a seconda che i venti spirino in una direzione o in quella opposta, è in arrivo la terribile Orda, guidata da Urdal, figlio di Ubigada, madre e strega senza amore. I buriaki, abitanti della Terra di Passo, che non sono mai sono stati domati, nemmeno da nemici numericamente di molto superiori, sanno di non poter nulla contro la magia nera che anima l’Orda e i mostri che la scortano: Antrax, scheletro di bisonte; Uter il Viscido, serpente grande sette volte un uomo; Saraton, scorpione di ferro. Vadim, guerriero buriaki, forte e giusto, comprende che l’invasione che sta travolgendo la Terra di Passo è inarrestabile, ma, pur sapendo di morire, non si sottrae al combattimento. L’ultimo a raccogliere il suo respiro è un bardo che viene dalla Montagna Nera, Tahir, cantore e suonatore di tambùriza. A lui il compito di raggiungere Ljubomir, il paese di Vadim, e di dare la notizia della scomparsa al padre dell’eroe, Lev, alla vedova, Tassìa, ai figli, Ilia, Ivan e Iuri. Di lì nuove ombre si addensano sulla terra di Passo. Urdal bandisce ogni canto e musica, intollerante della gioia che queste scatenano nonostante le razzie, le ruberie e l’oppressione dei suoi uomini. Tahir, che per mesi aveva trovato ospitalità nella casa di Vadim, torna nelle sue montagne impaurito dalla potenza di un amore che potrebbe nascere con Tassìa. Lo sconforto, il silenzio, la prepotenza sembrano trionfare. Ma Urdal non ha fatto i conti con Mila, figlia che Vadim non ha mai potuto vedere, nata dopo la sua morte e cresciuta ascoltando le nenie di Tahir attraverso la pellicola del ventre materno. Un ricordo primordiale che diventa invincibile arma contro i dittatori del silenzio. Con lei, Eco, il potente mago che suscita «i suoni della Terra muovendo le braccia come un direttore d’orchestra», e i venti, che fanno «crepitare i fiumi gelati» e cantare «persino la linfa degli alberi salendo verso la luna», la Resistenza può iniziare. Rumiz sembra riunire in questa fiaba di «nonno stanco del mondo degli adulti», come si definisce, tante esperienze di vita umana e professionale. Le scene di battaglia, forgiate nella sua narrativa originale, sono l’eredità di un bambino che si è nutrito di grandi saghe, ma anche di un giornalista che conosce la guerra. Rumiz è stato, infatti, inviato del «Piccolo» durante il conflitto dei Balcani e, oltre alle sue preziose corrispondenze, ha dato alle stampe una delle più oneste e profonde riflessioni sull’implosione della Jugoslavia, Maschere per un massacro (Editori Riuniti, 1996, e poi Feltrinelli). Molti dei nomi dei protagonisti della fiaba assomigliano a quelli che l’autore ha udito nella sua città natìa mescolati tra sloveno, tedesco e italiano: la Burja, il vento che soffia da Nord Est, ricorda la Bora che imperversa a Trieste; la tambùriza diverge solo per una consonante dalla tamburica, il liuto che si suona nell’Europa sudorientale. Ljubomir è l’unione tra le parole amore e pace declinate in varia maniera nelle lingue slave. Su tutto poi aleggia il mito della Baba Yaga, vecchietta incantatrice, vecchia amica dei racconti d’Oriente. A queste atmosfere si uniscono elementi di radice nordica, nei guerrieri che sembrano barbari scandinavi, dai lunghi capelli e dai baffi incolti, e le streghe scescpiriane che legano senza fatica con le atmosfere esotiche che Rumiz ha conosciuto nei suoi viaggi – Tre uomini in bicicletta , (con Francesco Altan, Feltrinelli, 2002), È Oriente (Feltrinelli, 2003) – e che odorano di porti pieni di spezie e stanze aladinesche. La regina del silenzio racconta però soprattutto di musica di cui, nella realtà, l’autore è venuto in contatto attraverso la «coabitazione con una straordinaria armata di giovani musicisti europei, La European Spirit of Youth Orchestra», diretti da Igor Coretti Kuret, maestro che ogni anno sceglie ottanta ragazzi provenienti da diversi Paesi, trasformandoli nel giro di pochi giorni in membri di un’orchestra armoniosa. Rumiz per tre estati è stato la voce narrante di questo progetto di vita, da cui è nata La regina del Silenzio, trascrivendo le sue recite. Da leggere a voce alta, raccomanda il narratore, magari con il sottofondo di una tambùriza. © RIPRODUZIONE RISERVATA Paolo Rumiz, La regina del silenzio ,
La Nave di Teseo, Milano, pagg.214, € 16