Bergman: Gita a Fårö tra capre e radici

 Il brullo scoglio sul Baltico, dove il regista placava i suoi tormenti. Fu Heimat e set di molti film, come «Scene da un matrimonio». Qui creò una sala di proiezione, morì e volle essere sepolto
Cristina Battocletti
appena poteva Ingmar Bergman si trasferiva a Fårö, un’isola svedese sul mar Baltico con curiose formazioni rocciose: faraglioni che si innalzano come coralli pietrificati sulla spiaggia o nel mare. Bergman amava raggiungere l’isola a metà marzo per assistere alla lotta tra inverno e primavera. «Un giorno i reggi del sole sono caldi, i venti dolci, gli specchi d’acqua brillano, gli agnelli appena nati saltano sulla terra da poco liberatasi dal gelo», scrive nella sua biografia Lanterna magica (Garzanti, 2013). Il giorno dopo però arrivava una tempesta che trascinava di nuovo con sé la neve, il mare infuriato, facendo sparire l’elettricità e costringendo felicemente il regista a una riposante vita primitiva. «Tutto ciò è tranquillizzante… Avanzo lentamente lungo percorsi ignoti che quasi sempre conducono allo smarrimento e al silenzio».
Questa atmosfera “fatta di nulla” – capre vaganti, baracche di legno naturale, case di pietra con il tetto in fieno o in legno – dava nutrimento alla sua fantasia cinematografica, permeata dallo scontro tra gravità e sensualità, sotto la cappa del senso di colpa conculcato da una religione pervasiva (il padre era un pastore luterano), nell’incombere di questioni metafisiche e nel richiamo dell’erotismo della Natura. Come in uno specchio – che fa parte della cosiddetta trilogia religiosa “del silenzio di dio” con Luci d’inverno (1962) e Il silenzio (1963) –, vincitore dell’Oscar come miglior film straniero nel 1961, è ambientato proprio a Fårö. Racconta la storia di Karin (Harriet Andersson), che, appena uscita dall’ospedale psichiatrico, raggiunge l’isola assieme al marito Martin (l’attore feticcio Max von Sydow), il padre (Gunnar Björnstrand) e il fratello di lei, Minus (Lars Passgård). Bergman, che del ricovero psichiatrico aveva fatto più volte esperienza per ricorrenti, gravi crisi depressive e tentato suicidio, in questo film mette in scena tutti i suoi demoni: dalle ossessioni mistiche, agli abusi familiari, all’incomunicabilità. Qui ogni personaggio legge nell’animo degli altri “come in uno specchio” in una sorprendente comunione con il paesaggio. Una delle visioni di Karin è quella di dio nella forma di un ragno gigantesco che vuole possederla. Le radici aeree e scoperte di certi alberi di Fårö sembrano proprio zampe di aracnide.
Bergman scoprì Fårö alla fine degli anni 50 mentre dirigeva il Teatro reale svedese, il Kungliga Dramatiska Teatern di Stoccolma. Fu in quel periodo che cominciò a pensare alla realizzazione di Persona, un film ambientato su un’isola. Deluso dalle Orcadi, dove era andato a fare un sopralluogo, si recò sul Baltico dove si innamorò di questo “scoglio” brullo e acquistò casa. Tra quelle pareti l’infermiera Alma (Bibi Andersson) accudisce la paziente psichiatrica e attrice Elisabeth (Liv Ullmann), che matura la decisione di non voler parlare più. Andersson e Ullmann furono due delle numerose compagne di Bergman (di “sole” mogli ne ebbe cinque), da cui ebbe nove figli. Linn Ullmann, nata dal l’unione con Liv Ullmann, riusciva a frequentare quel padre lontano ed enigmatico solo d’estate sull’isola baltica. Da quelle suggestioni è nato un bellissimo libro, Gli inquieti (Guanda, 2021), sui genitori e l’impegno di Linn a creare una fondazione nel 2004 per promuovere l’opera del padre e una residenza per artisti (bergmancenter.se). A fine giugno  si raduna una folla di bergmaniani per la “Bergman week” con proiezione di film, premières, conferenze, gite organizzate sui luoghi dei film (bergmancenter.se/en/bergman-week).
Fårö fu l’Heimat di Bergman, il luogo creativo per eccellenza del regista svedese, dove nacquero le idee per tante pellicole, come La vergogna (1967) e La Passione (1969) e dove, «in un lungo attacco di malinconia», scrisse Sussurri e grida (1972). All’isola dedicò anche due documentari di impegno sociale dallo stesso titolo, Fårödokument, dove gli abitanti del luogo – poco più di 500 persone che non rivelarono mai ai turisti dove erano localizzate le tre case del regista mentre era in vita – divennero protagonisti, spiegando i propri problemi e rivendicando i propri diritti.
A sessant’anni, dopo molte vicissitudini professionali e sentimentali, accanto alla casa restaurata di Dämba, costruì in una stalla centenaria un set cinematografico, dove girò Scene da un matrimonio (1973). Concluse le riprese, trasformò il fienile in un cinema con annessa, accanto, una sala di montaggio. Quello era un luogo che gli dava «un piacere eterno», dove nel 1975 si svolse la première del suo Flauto magico. «Invitammo alcuni abitanti di Fårö e un gran numero di bambini alla prima assoluta. Era agosto e c’era la luna piena, la nebbia copriva la palude… La vecchia casa e il mulino splendevano alla luce bassa e fredda… Nell’intervallo accendemmo i bengala e con champagne e bibite alla mela brindammo al Drago, ai guanti lisi dell’Oratore, a Papagena…». A Fårö morì il 30 luglio 2007 (lo stesso giorno di Michelangelo Antonioni) e volle essere seppellito lì, nella terra arida e follemente amata.