Addio Monica

Bionda, rossa o mora, Monica Vitti, scomparsa ieri nella sua casa di Roma a 90 anni dopo una lunga malattia, riusciva a incarnare sensualità e arguzia con piglio deciso, ma screziato di fragilità e humor. Era “materiale” umano e artistico raro e i registi se la contendevano assieme alle grandi del suo tempo, come Sofia Loren e Mariangela Melato. Aveva iniziato in teatro con maestri non banali, come Silvio d’Amico, che dirigeva l’Accademia in cui si diplomò a Roma nel ’53, e Sergio Tofano. Sul palcoscenico, che non abbandonò mai, mise a regime il doppio binario tragico-comico, su cui giocava, passando da Bonaventura a Molière, a Shakespeare. Fu però il grande schermo a donarle la fama con Michelangelo Antonioni, uno degli amori più intensi della sua vita, per cui fu dolente protagonista nella trilogia dell’incomunicabilità – L’avventura (1960), La notte (1961), L’eclisse (1962) -, a duello con Gabriele Ferzetti, Marcello Mastroianni e Alain Delon. Bella di un fascino aggressivo e selvatico, con il naso scolpito da statua greca, gli occhi cangianti e lunghi, il corpo flessuoso, si cimentò in una interpretazione memorabile in Deserto rosso (1964), ancora di Antonioni, quando, tremando, sentiva il pavimento “precipitare” e si chiudeva in una nevrosi cupa e solitaria, specchio dei lati neri del progresso.

La malinconia, che la sua voce roca esaltava, doveva essere un lato caratteriale, come anche la verve spiritosa, che Mario Monicelli fece esplodere ne La ragazza con la pistola (1968). Qui Vitti mise a frutto la mimica e la parlata sicula, osservata da bambina a Messina, dove aveva vissuto per qualche anno. Da allora divenne una delle mattatrici femminili della tarda “Commedia all’italiana” con Alberto Sordi (Amore mio aiutami, 1969, Polvere di stelle, 1973, con il mitico refrain «Ma n’do vai…», Io so che tu sai che io so, 1982), Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Marcello Mastroianni e Giancarlo Giannini, questi ultimi due insieme nell’indimenticabile Dramma della gelosia di Ettore Scola (1970). Prima di Monicelli l’aveva già “testata” Tinto Brass ne Il disco volante (1964), Luciano Salce più volte (tra cui Ti ho sposato per allegria, 1967), e Pasquale Festa Campanile ne La cintura di castità (1967). Nel varietà televisivo Milleluci con Raffaella Carrà e Mina divenne la risposta mediterranea (Vitti era romana de Roma e all’anagrafe faceva Maria Luisa Ceciarelli) alla milanese Franca Valeri. Non si fossilizzò nel cinema nostrano: recitò con Joseph Losey in Modesty Blaise – La bellissima che uccide (1966), Miklós Jancsó ne La pacifista (1971), Luis Buñuel ne Il fantasma della libertà (1974). Ritornò “antonionesca” nel toccante Teresa la ladra del 1973, diretta da un altro importante compagno di vita, Carlo Di Palma, conosciuto come direttore della fotografia in Deserto rosso. Poi, man mano fu usata per maschere sempre più fruste, non perché era venuta meno la sua bravura e professionalità – tra i suoi premi, cinque David di Donatello, dodici Globi d’oro, un Leone d’oro alla carriera -, ma perché la “Commedia all’italiana” si andava sclerotizzando. Gli ultimi film li girò con il marito Roberto Russo, che l’ha accudita e curata fino ad oggi – Flirt (1983) e Francesca è mia (1986) -, mentre nel 1990 trovò la forza di realizzarne uno a firma sua, Scandalo segreto. Chi scrive la contattò molti anni fa per un’intervista. Dall’altro lato della cornetta rispose la sua voce bassa, sublime e mitologica, che chiedeva con apprensione notizie di “Michelangelo”. Era il 1998, forse l’inizio della nebbia che l’ha avvolta, ma che non ne ha mai oscurato l’eterno talento.
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Cristina Battocletti