Venezia ’77: la preapertura di “Molecole”

Andrea Segre lega in un documentario la fragilità della città lagunare nella sua lotta contro l’acqua alta al ricordo del padre scomparso in una narrazione di speranza, nostalgia e presa di coscienza che la debolezza può essere forza

La 77esima Mostra del Cinema di Venezia apre i battenti il 2 settembre fino al 13 con coraggio, rispettando il distanziamento e imponendo l’uso delle mascherine. Lo fa con un film Fuori concorso, Lacci di Daniele Luchetti, tratto dall’omonimo romanzo di Domenico Starnone con Alba Rohrwacher, Luigi Lo Cascio, Giovanna Mezzogiorno.
Ma già il primo settembre propone in preapertura un documentario intimista e sospeso tra realtà e finzione, Molecole di Andrea Segre, dal 3 settembre nei cinema. Il film è un omaggio a Venezia, raccontata per sottrazione, ovvero attraverso il suo spopolamento durante il periodo del lockdown. Il film è anche il pretesto per una narrazione familiare, un viaggio interiore nel ricordo del padre del regista, Ulderico, veneziano di origine, attraverso ciò che non ha detto, o ciò che non ha palesato al figlio.
Venezia viene in rilievo attraverso la sua continua battaglia contro l’acqua, il suo innalzamento che ne minaccia la sommersione e il moto ondoso provocato dall’attraversamento di barche, vaporetti e grandi navi; mentre la figura del padre viene a sua volta in luce nella sua lotta contro un soffio al cuore che gli ha condizionato l’esistenza.
Il titolo è un omaggio alla professione del padre di Segre, chimico fisico, che ha dedicato la vita allo studio di questi elementi, e un riferimento al coronavirus che ha fermato la vita della regina lagunare.
Molecole è un racconto della fragilità della città e di una persona amatissima, ma insieme è anche una messaggio di speranza, di nostalgia, di presa di coscienza di una debolezza: i pali su cui è nata la città lagunare e il cuore debole del padre. Elementi solo apparentemente segni di gracilità: il regista ci spiega che su di essi si può costruire l’eccezionalità di un luogo e di un individuo.
Segre – che nel 2011 con Io sono Li ha vinto il premio Lux come migliore film europeo – alterna filmini Super8, girati dal padre in gioventù, a riprese della città, in cui il regista è bloccato per la repentina chiusura dei confini tra regioni imposta dalla pandemia. Segre, che da anni vive a Roma e che si trovava a Venezia per due progetti tra teatro e cinema, si è ritrovato così a ripiegare, ma il verbo in questo caso è improprio, su un progetto inedito e istintivo.


“Imprigionato” a Venezia, filma la città nativa di suo padre, senza le calamità dell’acqua alta e del turismo invasivo, legandola alla nostalgia verso la figura paterna, al tentativo di una comprensione più profonda del loro rapporto.Tra fotografie, le riprese e le belle musiche di Teho Teardo emerge una città deserta, dove un’amica gondoliera, figlia di campioni, guida il regista tra l’eccezionale acqua bassa e lo porta tra i giovani che resistono in laguna, nonostante le difficoltà lavorative e l’incertezza di un futuro, che contempla l’essere inghiottiti dall’acqua. Ci sono i racconti del pescatore catastrofista, di chi per professione ha vegliato sulle maree e come filo conduttore vi è una lettera scritta dal figlio al padre, quando Segre aveva 25 anni, e che non ha mai ricevuto risposta: «Nella vita capita di non sentirsi troppo bene e capita addirittura di credere che nessuno possa capire perché, nemmeno tuo padre e tuo figlio. Perché è davvero così. Perché davvero a volte nella vita sei solo».
Come lo siamo stati nel periodo della quarantena, nei vuoti che insegnano a dialogare con l’inevitabile. Un bel prologo per una Mostra che, nel rispetto delle norme anticovid, sarà meno glamour, ma si prospetta carica di contenuti.
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