Non ha (cinematograficamente) paura di nulla Maren Ade, tanto meno di iniziare il suo secondo lungometraggio, Vi presento Toni Erdmann, con una panoramica sull’ingresso di un’anonima casa, bidoni della spazzatura annessi. L’inquadratura non ha un’ambizione metaforica, ma l’intento di mettere subito in chiaro una certa visione del mondo, quella della porta di servizio – che in questo caso è anche la principale -, da cui ridacchiare delle convenzioni di cui il nostro mondo è schiavo. Dopo diversi secondi (lunghissimi nell’economia di un film) appare un corriere per consegnare un pacco. Gli apre Winfred (Peter Simonischek), un uomo di mezza età corposo, orsoide, con una zazzera bianca, che chiama il fratello Toni, «appena uscito dal carcere», dove è finito per reati legati ai pacchi bomba. Winfred sparisce e si presenta un gemello con gli occhiali da sole colorati, in accappatoio e manette legate a un polso, la dentatura da vampiro. Quando capisce di essere vittima di uno scherzo, il corriere passa dall’inquietudine, allo sconcerto, al desiderio, solo marginalmente divertito, di mandarlo al diavolo. La scena fa parte di una lunga premessa cui la regista tedesca si abbandona, incurante di strizzare l’occhio allo spettatore, lontana da furbizie registiche e di montaggio, per introdurre Winfred e la figlia Ines (Sandra Hüller), consulente in carriera di una compagnia petrolifera con sede a Bucarest.
Winfred è un maestro di musica, che ha perso il suo ultimo allievo; gli amici e conoscenti non lo prendono più sul serio – perfino la madre sbuffa davanti ai suoi travestimenti –, e l’ex moglie, che lo invita a pranzo per il ritorno di Ines, non si ricorda di avvertirlo che festeggeranno il compleanno della figlia. Winfred decide allora di portarle il regalo di persona, a sorpresa, direttamente in Romania, facendole un agguato nel palazzo dove lavora. Quando lei lo scorge di lato con indosso il solito travestimento finge di non vederlo: non è sola e sta per concludere un’operazione delicatissima che prelude all’agognato trasferimento a Shangai. Comincia qui tra i due una sorda guerra d’amore, a suon di paradossi, che hanno fatto scoppiare la critica di Cannes in boati e applausi. O meglio, metà della critica, perché il film ha un suo carisma selvatico: o lo si ama o lo si detesta. Snobbato nel palmares in Francia, si è aggiudicato il premio Fipresci della critica internazionale, il Lux come migliore film europeo, cinque riconoscimenti all’Efa – giustamente due alla bravura degli eccezionali Hüller e Simonischek – e la candidatura nella cinquina come migliore film straniero agli Oscar.Ines porta suo malgrado con sé Winfred e lui guarda con stupore l’universo della figlia: i convenevoli e il lusso standardizzato, davanti a cui il resto del Paese, la Romania, sembra una terra medievale da cui razziare risorse in termini di persone e cose, senza dare nulla indietro. Ma se si limitasse a questo Vi presento Toni Erdmann sarebbe l’ennesimo predicozzo anticapitalistico. Il messaggio sull’ingiustizia sociale, invece, passa solo di taglio; l’inquadratura sulla baraccopoli vista dal palazzo ferro e vetro dura un secondo. La tensione sta tutta nel rapporto tra i due: un padre che piomba nella vita di una figlia, alla vigilia della conclusione di un affare delicatissimo, per strapparla da quella che lui ritiene un’esistenza autolesionistica. Sbuca fuori con un parruccone nero da gorilla e i denti di plastica sporgenti, sotto le spoglie del mental coach Toni Erdmann, offrendo champagne e fuggendo in limousine, in una costante denigrazione dello status cui ambisce Ines. Lei allora accetta la sfida e lo coinvolge nelle pieghe più brutte della sua quotidianità – stress, sballo, solitudine, umiliazioni -, mettendo Winfred davanti alle responsabilità di un genitore che si offre dopo decenni con la comoda ingenuità con cui ha attraversato la vita e solo quando muore il cane, l’essere vivente con cui è più in sintonia e la vita lavorativa è agli sgoccioli. Difficile avvicinare Ade ad altri registi: considerando le risate più caustiche del cinema contemporaneo, anche Tarantino e i fratelli Coen sono lontani. Né il film può essere paragonato ad altri incentrati sul rapporto genitoriale, come il drammatico Ritorno di Andrei Zvjagincev o di Madre e figlio (1997) e Padre e figlio (2005) di Alexandr Sokurov. La regista tedesca, che ha solo 40 anni, sta a sé con un talento bizzarro, poco domabile e un coraggio strafottente rispetto alle mode (il film dura quasi tre ore). L’opera precedente, Alle anderen (2009), si metteva sugli stessi binari, ma senza la maturità raggiunta adesso. Vi presento Toni Erdmann è una delle più belle storie d’amore tra un padre e una figlia, che abbiano voglia di (ri)conoscersi senza infingimenti.
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