Il premio Nobel, Orhan Pamuk, era ieri sul tappeto rosso della 72esima edizione della Mostra del cinema di Venezia per il documentario Innocence of memories del regista britannico Grant Gee. Il film è ambientato nella città di Istanbul e nel museo costruito nella capitale turca dallo stesso scrittore; un’istituzione che testimonia attraverso oggetti di uso comune la storia d’amore negli anni Settanta di due giovani turchi, Kemal e Füsun, raccontata nell’omonimo libro Il museo dell’innocenza (Einaudi, 2009) del Nobel per la letteratura nel 2006.
Il Sole 24 Ore lo ha incontrato nella sede delle “Giornate degli Autori”, la sezione indipendente della rassegna che ha ospitato il bel documentario di Gee, una finestra sulla Turchia di quegli anni, tra i vincoli della tradizione, la mancata libertà dei costumi, la trasformazione della città.
Un film su un piccolo museo quando alla rassegna veneziana era ospitato Francofonia, un omaggio di Sokurov al Louvre.
“I musei sono diventati la fonte dell’identità nazionale quando i tesori di Napoleone hanno riempito il Louvre, rafforzando l’idea dello Stato moderno. Ma non dovrebbe essere più cosi. Nel mio museo dell’innocenza è affissa una sorta di manifesto secondo cui le risorse dovrebbero andare ai piccoli musei. E’ un suggerimento soprattutto per i cinesi, che convogliano tutte le finanze sui grandi musei per costruire la storia del Paese, mentre l’individualità dei cittadini è completamente negletta. L’epica va ai re, ma questo dovrebbe essere il tempo per dire di più sull’individualità dei cittadini moderni. Il museo e il romanzo sono una cosa unica. Gli oggetti del museo non appartengono a Füsun o a Kemal ma sono oggetti reali di quell’epoca. Come nei grandi romanzi del Novecento c’è un misto tra realtà e finzione. La stessa logica opera nel film di Grant. Io sono l’oggetto e lui è il regista. Innocence of memories è un film è ipnotico, bisogna abbandonarsi alle sue immagini. Riprende anche la città, che è fondamentale per la conservazione della memoria, perché se un amore è legato a una piazza, ogni volta che passiamo in quel luogo si ravvivano i sentimenti, e così per la felicità e la tristezza. Se la città viene distrutta, vengono distrutti i ricordi passati. Ma tutto passa e noi dobbiamo accettarlo. Siamo di passaggio”
Un ragionamento che vale di più pensando alla recente distruzione di Palmira
“E’ stato un atto medievale e barbarico; non voglio soffermarmi oltre”.
Molta gente identifica Pamuk con Istanbul. Una grossa responsabilità…
“Fino ai 45 anni ero uno scrittore turco che viveva a Istanbul e scriveva dell’umanità. Adesso sono l’icona di Istanbul. Questa consapevole non mi fa felice, ma è vero, ora io arrivo all’umanità tramite Istanbul”
La situazione
radicalizzata dopo il premio Nobel…
“Ho ricevuto la notizia del premio Nobel quando ero a New York. Alle 6 del mattino mi ha raggiunto la telefonato del mio agente. La mia risposta assonnata è stata: “Non cambierà la mia vita”. Ero nel mezzo della stesura de Il museo dell’innocenza. Mi sbagliavo, ha cambiato la mia vita: mi ha dato più lettori e più popolarità. E la responsabilità di rappresentare la Turchia. Mi sono trasformato in un diplomatico, che doveva soppesare ogni parola e ho perso il bambino che è in me. Il bambino deve vivere sempre”.
Ma questo ha consentito di denunciare le violazioni della libertà.
“Mi sono sempre esposto anche prima del premio Nobel. Ora ho solo più protezione. All’indomani dell’annuncio avevo 3 guardie del corpo, oggi per fortuna ne ho solo una”.
Nel film si parla di huzun, ovvero il sentimento secondo cui per un turco è troppo presuntuoso raggiungere quello che si vuole, di conseguenza non si può sposare la donna che si ama.
“Ho descritto la melanconia turca in Istanbul (Einaudi, 2003, n.d.r), nel cui spirito è immerso il film di Grant. La Repubblica moderna era impregnata di huzun fino alla metà degli anni Settanta, in cui si svolge Istanbul. Poi la città, soprattutto negli ultimi dieci anni, è cresciuta esponenzialmente. Ho 63 anni e i cambiamenti che sono occorsi nei primi cinquant’anni della mia vita sono minori di quelli avvenuti negli ultimi 13 anni. Il film di Grant non fa solo la cronaca del museo, copre la storia della città rendendo visibile la distruzione occorsa negli ultimi anni e Grant è stato molto bravo a renderla. Istanbul è cambiata molto e i turchi stanno vivendo un periodo strano: il tessuto della città muta così rapidamente. Continuano a coesistere palazzine degli anni Cinquanta, accanto a edifici di sei piani e grattacieli. La cementificazione è feroce, la gente non si aspetta che il fenomeno si fermi.”
Una città che ha subito ultimamente molti attacchi terroristici.
“Ho vissuto gli anni 70, quando c’era una specie di guerra civile: ti alzavi ed era esplosa una bomba; quindi i turchi non sono sconvolti per gli ultimi eventi. Ma quando ci sono stati gli attacchi simultanei, c’erano telefonate febbrili per consigliare l’uno all’altro di non andare a far compere, di non pendere la metropolitana, di non andare a piazza Taksim”.
A novembre ci saranno le lezioni anticipate
“Io sarò a New York e se vorrò votare dovrò farlo all’ambasciata. Ho il passaporto turco e non ho la green card. Non credo che voterò per Erdogan, anche se ha avuto il merito di iniziare il processo di pace con i curdi. Ma quando ha capito che questo gli faceva precipitare la popolarità e i voti, ha cominciato a bombardare le postazioni del pkk”.
Nel documentario emerge negli anni Settanta un problema di grave disparità tra uomini e donne.
“La situazione è rimasta la stessa. Le donne in Turchia sono represse, sono marginalizzate ed è uno stato di fatto che non cambia in velocità. La società turca è patriarcale, dominata dagli uomini e Grant fa capire molto bene come le donne non possano passeggiare per strada di notte”.
Recentemente la Turchia è stata sulle prime pagine dei giornali per la morte del piccolo profugo siriano sulla spiaggia.
“La fotografia era su tutte le prime pagine dei giornali turchi ed è stato un argomento di polemiche. C’era chi accusava Erdogan di questa morte, chi l’Europa occidentale e chi i Siriani. E’ stata un evento enorme e triste, ma credo che abbia reso più sensibile il cuore degli europei”.