L’impero di Bruno Dumont: le guerre stellari cedono alla carne

Uno «Star Wars» in salsa francese con Fabrice Luchini nei panni di Belzebù e Camille Cottin in quelli della Regina del Bene. Sulla terra però gli emissari finiscono per cedere ai piaceri del corpo…

A Bruno Dumont piace provocare con la sua maestria cinematografica, dimostrando ne L’impero, dal 13 giugno nelle sale, di saperla esercitare anche in forma grottesca e senza rinunciare al perno della sua filmografia: la dualità e la contrapposizione tra il bene e il male (Hadewijch, 2009, Hors Satan, 2011, Jeanne D’Arc, 2019, France, 2021). L’impero è una sorta di Star Wars, ambientato nella Francia settentrionale, in cui due fazioni nemiche – gli Uno, portatori di Bene, e gli Zero, seguaci di Belzebù– si scontrano sulla Terra attraverso i loro emissari con tanto di rituali del Lato Chiaro e Oscuro della Forza.

Dumont si diverte a sfidare i generi: quello fantastico con spade di luce, usate per decapitare gli sventurati di turno, e quello naturalistico con attori non professionisti che recitano come in Racconti di Canterbury. A questo si aggiunge il crime con la coppia di detective decrepiti e inutili (Bernard Pruvost e Philippe Jore), degni dei fratelli Coen, perfettamente amalgamati nel clima farsesco del racconto. A scatenare la contesa terreste è la nascita in un paesino della Côte d’Opale del Margat, incarnazione del diavolo, un bellissimo bambino biondo con gli occhi azzurri di nome Freddy, figlio del pescatore Jony (Brandon Vlieghe).

A controllare il pericolosissimo Freddy sono le forze del Bene, la principessa Jane (Anamaria Vartolomei), di un biancore quasi fosforescente in bikini stile Ursula Andress in oo7, e un apprendista Jedy, Rudy (Julien Manier). Accanto al malefico Jony, una schiera di cavalieri e un’affascinante demonessa in evoluzione, Line (Lyna Khoudri). Dumont osa campi lunghi e lunghissimi inizialmente per inquadrature che non rendono troppa giustizia alla regione di Pas-de-Calais, il punto più vicino della Francia all’Inghilterra, da dove gli immigrati tentano di attraversare la Manica. Si intravede un contesto rurale piuttosto squallido che solo dopo si apre alla bellezza delle macchie boschive, delle dune di sabbia – dove i cavalli procedono con le zampe pelose (notevoli le inquadrature dei passi equini e umani) –, del contesto marino e delle casette basse. Inizialmente gli esseri umani sono piccoli come formiche, perché questo sono a cospetto degli Uno e degli Zero.

Ma c’è un ma: il Bene e il Male si definiscono solo attraverso gli uomini. Gli umani saranno anche dei fessacchiotti, ma servono alle Forze per esistere e soprattutto hanno una cosa che fa tremare certezze e determinazione degli avversari: il corpo. «Visto che ci siamo incarnati, perché non approfittarne?» propone Jony a Jane con fare da Top gun. Ed effettivamente Jane , dopo una manata sul sedere, conviene che la cosa non è affatto spiacevole. Qui la macchina da presa si stacca per un campo lungo, lasciando le formichine a lambiccarsi con le proprie pudenda.

La questione corporale mina però la devozione alla Causa e i capi scendono sulla terra a vedere che succede. Belzebù-Fabrice Luchini – vecchia conoscenza di Dumont (Jeanne, 2019, Ma loute, 2016) –, entra nel corpo di una guida turistica e importa il trasporto per la voluttà anche in cielo, deliziandosi con un ologramma culone che gli ancheggia intorno. La Regina delle Forze Positive (Camille Cottin) si cala nelle vesti della sindaca, intercettando banalità e lamentele dei villici e così Dumont ci fa sapere che il Male – a partire dai costumi di Alexandra Charles e Carole Chollet –, è più divertente del Bene. C’è da dire, che ancora prima di aver provato il corpo, Satana e la Regina non hanno mai difettato di certa inclinazione per il terrenissimo lusso, visto che le rispettive astronavi sono la riproduzione della Reggia di Caserta e di Sainte-Chapelle.

Bravissima Vartolomei (magistrale ne La scelta di Anne di Audrey Diwan, Leone d’oro 2021); troppo breve la parte di Cottin, per apprezzarne la versatilità di Chiama il mio agente!. Khoudri (The French Dispatch, I tre moschettieri) è un’ottima mutante fra spasmi e orgasmi.

Ma forse oltralpe certa francesità può alla lunga risultare faticosa (chissà se ci divertirebbe con Roberto Herlitzka-Belzebù e Sabrina Ferilli-Regina). Alla Berlinale L’Impero ha vinto il premio della giuria. Credo che i dentoni di Luchini c’entrino qualcosa.

3 stelle su 5