Al cinema andrei a vedere Ozon che ripensando al Fassbinder autobiografico ripensa a se stesso

Cogliendo i tempi “fluidi” François Ozon ha convertito Le lacrime amare di Petra von Kant di Rainer Werner Fassbinder da una storia d’amore omosessuale femminile a una passione maschile, portando sugli schermi Peter von Kant – dal 18 maggio al cinema per Academy Two – «in una versione che non ha nulla del remake», come racconta lo stesso regista al Sole 24 Ore. «Volevo giocare con il gender e mischiare i cliché francesi e tedeschi».
La storia di Ozon, ambientata a Colonia negli anni 70, vede l’affermato regista cinematografico Peter von Kant (Denis Ménochet) alle prese con il suo nuovo amore, Amir (Khalil Gharbia), dopo essere stato lasciato dalla moglie. «Volevo prendere un grande classico e dargli una nuova veste, come accade a teatro per Shakespeare, Čechov o Molière».
Di novità, rispetto all’opera, prima teatrale poi cinematografica, di Fassbinder ce ne sono diverse. Il protagonista, ad esempio, non lavora nella moda come Petra (Margit Carstensen). «Ho voluto che il protagonista fosse un regista perché Petra era un film autobiografico, in cui Fassbinder ha voluto esplorare le dinamiche della dominazione privata e lavorativa, non ultimo il rapporto sadico con il suo assistente, Peer Raben, che ha composto le musiche per i suoi film. Fassbinder scrisse Petra a 25 anni, nel periodo in cui viveva una burrascosa relazione con il suo attore Günther Kaufmann». Un perno fisso però c’è ed è Hanna Schygulla, per Fassbinder la donna per cui Petra perde la ragione, per Ozon la madre di Peter. «Hanna ha conosciuto bene la mamma di Fassbinder e abbiamo potuto condividere alcuni ricordi, smorzando anche la durezza della sua figura. Il mio film è meno brutale di quello originale, un po’ più melodrammatico e passionale». Senza gareggiare con il capolavoro, Ozon lo restituisce in un gioco di specchi calligrafico e colorato, che ricorda Wes Anderson o Almodovar: «In realtà ci siamo ispirati agli ambienti gay degli anni Settanta, come la Factory di Andy Warhol e gli uffici di Yves Saint Laurent. Cinematograficamente mi sono molto nutrito, oltre a Fassbinder, dei film di Douglas Sirk».
Si tratta del secondo film di Ozon tratto da un’opera di Fassbinder, dopo Gocce d’acqua su pietre roventi (2000). «Ho scoperto Fassbinder da studente. L’ho divorato e amato per la sua libertà, per il piacere che trasmetteva nel girare» e in fondo Ozon ricalca alcuni stilemi del maestro tedesco, con i suoi film sull’identità e l’ambiguità sessuale, dal voyeurismo alle perversioni come cifra di lettura della società, da Nella casa (2012) a Grazie a Dio (2019), entrambi film in cui aveva coinvolto Ménochet. Anche Peter von Kant è in qualche modo lo specchio di Ozon: «Tutti i registi possono identificarsi nella sua natura dittatoriale, di controllore e creatore del mondo».