La Bersagliera audace che conquistò Hollywood addio a Gina Lollobrigida

Quando il maresciallo Antonio Carotenuto (Vittorio De Sica) domanda a un collega informazioni su una bellissima ragazza che li affianca a dorso d’asino, gli viene risposto: «Quella è un diavolo scatenato…», «Meretricio?», chiede allora De Sica. «No… è una ragazza un poco ardita». Della “Bersagliera” Gina Lollobrigida di Pane, amore e fantasia (1953), scomparsa ieri a Roma all’età di 95 anni, si notava prima l’esuberanza fisica, ma contemporaneamente il carattere volitivo, impertinente e ironico che la fece volare dal paesino di Subiaco, nella periferia di Roma, a Hollywood per recitare con stelle come Rock Hudson, Tony Curtis, Sean Connery, Burt Lancaster e David Niven.
Gina Lollobrigida
Fu forse Luigi Comencini a renderne meglio l’essenza, dirigendola in due film – assai lontani nei contenuti e nei tempi – in cui emergeva la sua duplice natura: da un lato, ribelle e scapricciata; dall’altro, malinconica e amara. Nel primo, il già citato Pane amore e fantasia, Lollobrigida incarnava lo slancio di un Paese che aveva voglia di ricominciare ridendo delle proprie miserie, nei binari della grande Commedia all’italiana. Nel secondo, lo sceneggiato televisivo Le avventure di Pinocchio (1972), interpretava la fatina buona che salvava il burattino in un Paese economicamente e sociologicamente mutato, più cinico, dominato dal piccolo schermo, con la voglia di ritrovare le sue radici in Collodi.
Esordì nei fotoromanzi per poi guadagnarsi nel 1947 il terzo posto a Miss Italia, dietro Lucia Bosé, anche se la sua vera rivale fu Sophia Loren, con cui si contendeva il primato di bellezza italiana all’estero.
Il fisico a clessidra e gli occhi caldi mediterranei allungati le diedero il successo in Francia nel ruolo della zingara Adeline di Christian-Jaque in Fanfan la Tulipe del 1952 (Orso d’argento al Festival di Berlino) e, su quella falsariga, in quello di Esmeralda ne Il gobbo di Notre Dame (1956) di Jean Delannoy con un indimenticabile Anthony Quinn.
Ma soprattutto nell’agognatissima e iper selettiva Hollywood, con cui seppe rompere quando sentì che soffocava la sua creatività. Nonostante l’affronto, l’America le tributò il Golden Globe per Torna a settembre (’61) di Robert Mulligan, in cui la scena del ballo tra lei e Rock Hudson è una delle icone danzanti del cinema.
Molto prima la volle John Huston ne Il tesoro dell’Africa (1954), mentre Robert Z. Leonard (sempre nel ’54) cucì su di lei La donna più bella del mondo sulla vita del soprano Lina Cavalieri, in cui dimostrò ottime doti canore e vinse il David di Donatello come migliore attrice protagonista. In Sacro e profano (1959) di John Sturges recitò con Frank Sinatra e Steve McQueen, mentre in Salomone e la regina di Saba (1959) di King Vidor fu al fianco di Yul Brynner.
In Italia fu sempre trattata con il sussiego riservato alle bellissime, anche se aveva dimostrato di essere all’altezza di ruoli drammatici e dopo aver fatto la gavetta con Freda (Aquila nera, 1946), Zampa (Campane a martello, 1949, e Cuori senza frontiere, 1950), Lizzani (Achtung! Banditi!, 1951), Monicelli (Vita da cani, 1950), che finalmente le diede spazio ne Le infedeli (1953); lo stesso fece Soldati con La provinciale (’53). Negli ultimi anni si dedicò alla scultura e al fotoreportage, grazie a cui immortalò, tra gli altri, Fidel Castro. Leggenda vuole che tra i due sia nato del tenero. Ma l’unica leggenda sicura è quella della sua stella sulla Hollywood Walk of Fame.