Volker Schlöndorff al Bergamo Film Meeting: “Quando fare cinema era divertente”

L’ultimo film di finzione di Volker Schlöndorff – in questi giorni giurato al Bergamo Film Meeting (fino al 3 aprile) – si chiama Diplomacy (2014) e racconta una lunga notte di trattative nel 1944 per salvare Parigi dalla distruzione di Hitler. Un suadente André Dussolier nei panni del diplomatico svedese Raoul Nordling lavora ai fianchi del generale tedesco Dietrich von Choltitz (Niels Arestrup) e ci ricorda gli altalenanti negoziati in corso tra Russia e Ucraina.

«Il legame con l’attualità c’è indubbiamente – riflette in un italiano impeccabile -. Quel film l’ho dedicato al diplomatico Richard Holbrooke, fautore degli accordi di pace di Dayton per la Bosnia nel 1995. Oggi più che mai sentiamo il bisogno della diplomazia, ma all’Europa difetta una voce unitaria. Il Segretario di Stato americano Henry Kissinger soleva dire: “Dammi il numero di telefono dell’Europa”. Oggi questo numero non c’è. Un giorno arriva Scholz, il giorno dopo Macron e poi sarà il turno di Draghi. Ma se la diplomazia ha funzionato a Parigi nel ’44, quando la situazione era ancora più disperata di oggi, non dobbiamo perdere la speranza. Certo c’è bisogno di forza. Le parole pesano solo se dietro hanno le bombe. Una minaccia deve essere letale per avere forza negoziale. E questa è un’altra carta che manca all’Europa. Per la prima volta ci rendiamo conto che abbiamo di fronte l’impersonificazione del Male, che avevamo un po’ dimenticato. Non ci sono vantaggi materiali da questo conflitto, è semplicemente una follia». Schlöndorff a Bergamo presenterà in anteprima mondiale (il 1° aprile alle 17, all’Auditorium, in piazza della Libertà, bergamofilmmeeting.it) il documentario The forest maker, in cui segue Tony Rinaudo, un agronomo premiato nel 2018 a Stoccolma con il cosiddetto Nobel alternativo, il Right livelihood award per il metodo Farmer managed natural regeneration (FMNR), grazie al quale è riuscito a far crescere alberi e coltivare nelle zone più aride attivando ceppi e radici ancora vive come fossero una “foresta sotterranea”.


«Ho partecipato a una conferenza di Toni a Berlino, appena tornato dalla Svezia. Nel complimentarmi con lui, gli chiesi quanti studenti avesse al seguito. E lui mi rispose: “Nessuno”. Mi sembrava impossibile. Pensai che dovevo girare un film per divulgare il suo sapere. Un mese dopo ci siamo trovati nel Mali a Bamako. Dovevamo finire in un mese, poi è scoppiata la pandemia. Alla fine le riprese sono durate tre anni, in cui ho conosciuto il coraggio, la bellezza dei contadini africani, cui il metodo assicura il sostentamento. Rinaudo ha lavorato nella regione del Sahel per 40 anni, parla diversi dialetti, ha assistito alla disperazione e alla carestia. Imporre le sue idee non è stato semplice. Seguirlo per me è stato un viaggio di iniziazione: attraverso gli alberi ho cominciato a scoprire gli uomini, 350 milioni di piccoli coltivatori che lavorano in meno di un ettaro di terreno. Più che un documentario è una battaglia civile e un’opera letteraria». La letteratura permea infatti tutta la filmografia di Schlöndorff, che nella sua carriera ha portato sugli schermi gli adattamenti di numerosi romanzi di autori come Heinrich von Kleist, Günter Grass, Arthur Miller, Margaret Atwood. I turbamenti del giovane Törless, tratto dall’omonimo libro di Robert Musil, nel 1966 ebbe a Cannes un grande successo di critica e contribuì ad affermare il Nuovo Cinema Tedesco, corrente fondata tra gli anni Sessanta e Ottanta da Schlöndorff stesso, Rainer Fassbinder, Margarethe von Trotta, Alexander Kluge, Hans-Jürgen Syberberg, Edgar Reitz e Wim Wenders. «Siamo stati fortunati perché il cinema tedesco era pesante e stupido e in uno stato così pietoso che non potevamo che fare meglio. Abbiamo lottato contro un sistema e un’industria che controllava tutto, e voleva impedirci di proiettare i nostri film, perché sostenevano che avremmo svuotato le sale. E invece è accaduto il contrario, dimostrando che il pubblico voleva qualcosa di diverso. Ognuno di noi aveva una cifra propria, connotata da una scrittura originale, venata dalle nostre ossessioni, ma abbiamo creato un gruppo molto coerente di amici, che si battevano per un nuovo modo di fare cinema. Eravamo appena una decina, mentre oggi dalle scuole escono diverse centinaia di registi all’anno, che teoricamente sono molto agevolati dalla tecnica digitale. Ma i film sono troppi e la pressione finanziaria rovina tutto. Non so se siamo stati bravi, lo siamo forse diventati per le circostanze. Ci siamo divertiti molto e sempre e questo si sente».