Di Cristina Battocletti
Asciutto come ai tempi dei film che lo hanno reso grande, John Travolta fa il suo ingresso nella sala Bunuel del Palais del cinema di Cannes, incoraggiato da un intenso applauso. Di nero vestito, con la barba leggermente imbiancata, ha quasi un moto di sorpresa per tanta partecipazione di pubblico e di critica alla sua masterclass, che Cannes ha riservato a mostri sacri come Milos Forman e Bernardo Bertolucci. La sala non riesce a contenere la grandissima quantità di gente, che rimane in coda per molto tempo, sperando di poter entrare con un miracolo. Era l’occasione per sentirlo parlare dopo averlo visto sfilare sul tappeto rosso per presentare fuori concorso al festival il film Gotti di Kevin Connolly, in cui veste i panni, accanto alla moglie Kelly Preston, di un boss della famiglia Gambino.
Il protagonista di Grease – film di Randal Kleiser che questa sera verrà proiettato sulla spiaggia per festeggiare i suoi 40 anni – non ha niente dello spaccone dei personaggi che solitamente interpreta. All’inizio sembra anzi intimidito, con la voce leggermente scheggiata, tanto che l’intervistatore lo incalza di domande per stemperare l’emozione evidente.
Si inizia da Pulp fiction di Quentin Tarantino che proprio nel 1994 si aggiudicò la Palma d’oro a Cannes, cambiando la storia del cinema.
“Nessuno poteva capire la magnitudo di quel film. Pensavamo che avrebbe avuto un audience limitata e invece esplose nella sua forza. Esplorava un territorio che non era ancora stato scoperto, il fenomeno culturale pop”.
Travolta allora riemerse da un profondo cono d’ombra in cui era stato confinato da Hollywood: “Quentin non voleva un attore prevedibile, altrimenti non avrebbe scelto me. Tutti i grandi registi scelgono il loro cast fidandosi delle risorse che sono in grado di far emergere. Marlon Brando, cinque anni prima di morire, mi diede un ottimo consiglio: Non devi mai lavorare con un regista che non ti ama profondamente perché solo chi ti ama ti può permettere di raggiungere un altro livello”.
Pulp fiction decretò un nuovo insperato successo con il pubblico: “Non so spiegare come sono riuscito a riconquistare il mio pubblico: il mio lavoro è convincere lo spettatore che è in buone mani”.
E’ tempo per discutere di un altro capolavoro, La febbre del sabato sera di John Badham, che lanciò Travolta nel 1977.
“Allora avevo 23 anni ed ero famoso per una serie televisiva, lavoravo da quando avevo 12 anni. Badham mi scelse perché gli feci credere che ero il più bravo ballerino di tutta Brooklyn. Lui non era di New York, veniva dal Texas e si fidò di me che conoscevo meglio il territorio. Eravamo circondati da un team che aveva un’energia incredibile, che permetteva di non smettere di lavorare per 19 ore consecutive. Io mi allenai a ballare da settembre a febbraio, tutti i giorni. Accadde come per Pulp Fiction, pensavamo fosse un piccolo film e invece ebbe un successo incredibile. Fa parte del nostro patrimonio di vita, come Via col vento. Benicio del Toro mi ha confessato di averlo visto dieci volte e di aver deciso di fare l’attore grazie al film”.
La carriera di John Travolta invece ha la sua genesi con Fellini:
“Vidi per la prima volta La strada a cinque anni e quando Giulietta Masina morì sullo schermo mi disperai. Lì ho capito l’impatto della recitazione”