Di Cristina Battocletti
Primo film italiano oggi a Cannes, La strada dei Samouni di Stefano Savona, presentato alla Quinzaine des réalizateurs. Il film racconta attraverso la voce di una bambina, Amal Samouni, e dei suoi parenti l’operazione “piombo fuso” del 2009 nella striscia di Gaza. Durante l’operazione vennero uccisi 29 membri dei Samouni, una famiglia allargata di contadini, che vive alla periferia della striscia di Gaza e che, secondo le parole dello stesso regista, sarebbe finita: “martire per sfortuna o eccesso di sfiducia. Non pensavano alla guerra. Finivano per odiarsi per altre vicende interne”.
Il progetto di questo documentario, che ospita l’animazione di Simone Massi, nasce per caso. Savona si trovava a Gaza tra il 2008 e 2009 e cercava di aggirare l’embargo delle immagini attraverso blog. “Di mattina riprendevo, il pomeriggio montavo e la sera mettevo le mie immagini sul blog”, ha spiegato il regista . Da queste riprese è nato il film Piombo fuso, premio speciale della giuria dei cineasti del presente a Locarno. “Finita la guerra ero pronto a tornare a casa perché era stato emotivamente faticoso”. Ma poi conosce la famiglia dei Samouni: “Sono rimasto affascinato dalla maniera in cui queste persone raccontavano la propria storia terribile con grande dolcezza. Mi hanno ospitato nella loro casa ed è nato anche un rapporto di amicizia”.
La piccola Amal all’inizio del documentario dichiara di non ricordare nulla, se non la presenza di un albero di sicomoro sotto cui si radunavano suo padre, ucciso nell’attacco, e i suoi zii. Ma pian piano le memorie tornano a galla, anche attraverso le voci degli altri membri della famiglia, e Savona decide di restituirli con l’animazione. “Massi disegna con il bianco, grattandolo via dal nero. Come nel lavoro della terra”.
E infatti si racconta di una civiltà prettamente rurale, che è quella in prevalenza cantata dal disegnatore marchigiano fino ad ora: “Mi sono adeguato allo stile di Savona”, ha spiegato Massi. “Sono un semplice collaboratore. Non avevo la possibilità di intervenire. Per la prima volta mi sono raffrontato con altri disegnatori, circa una ventina. Oggi a distanza di tanti anni posso dire che non abbiamo mai bisticciato”.
Il lavoro è durato cinque anni, anche per l’attenta ricostruzione dei fatti attraverso gli atti di una commissione di inchiesta Onu e successivamente di una israeliana su quanto è accaduto in quel frangente. Molte scene sono state rese da Savona attraverso le riprese di un drone dall’alto che riporta i fatti documentati dalle commissioni. “Dobbiamo assumerci la responsabilità di raccontare nel modo più semplice possibile una situazione complicata. Con tutta la fatica che questa ricostruzione comporta”.
La famiglia Samouni non ha ancora visto il film: “Gaza non è un posto di facile accesso. Ci sono due ore di elettricità al giorno. I Samouni hanno visto parte delle animazioni perché volevamo che le doppiassero. Tornerò entro fine anno per mostrargli il film”.