Arriva il Papa bello e il Lido si scalda. E’ Jude Law, il pontefice della miniserie “The young Pope”, creata e diretta da Paolo Sorrentino, di cui oggi verranno presentate alla 73esima edizione della Mostra del cinema di Venezia le prime due puntate. Otto episodi con la fotografia di Luca Bigazzi, trasmesse da ottobre su SkyAtlantico in Italia, Regno Unito e Germania, da HBO negli Stati Uniti e da Canal+ in Francia.
Law è Papa Pio XIII, primo capo della Chiesa americano. Fascinoso e capace di gestire il potere, riesce giovanissimo rispetto ai suoi predecessori a scalare i vertici della Chiesa, accanto a Diane Keaton (suor Mary), Cecile de France (Sofia, responsabile del marketing del Vaticano) e a Silvio Orlando (il Cardinal Voiello).
Lenny Belardo, questo è il suo nome secolare, è un pontefice ambizioso, conservatore, dotato però di una particolare umanità nei confronti dei più deboli e con un rapporto con la fede tormentato, sempre timoroso di subire l’abbandono di Dio. La sua elezione che sembrerebbe frutto di una votazione collegiale potrebbe nascondere degli intrighi.
Un sabato non qualunque, questo sabato italiano, perché questa sera verrà proiettato anche il primo film nostrano in concorso, “Spira mirabilis” di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, documentario che potrebbe avere l’opportunità di guadagnare qualche premio, vista anche l’attenzione al genere delle ultime rassegne. Nel 2013 proprio a Venezia Gianfranco Rosi si era conquistato il Leone d’oro con “Sacro GRA”, seguito lo scorso febbraio dall’Orso d’oro con “Fuocoammare” al Festival del cinema di Berlino.
“Spira mirabilis” è una riflessione sulla vita, sul senso dell’esistenza dopo la morte e sull’immortalità, partendo dalla curiosa ricerca di uno scienziato di Tokyo su una medusa che si rigenera. Rendere una dissertazione filosofica di livello attraverso le immagini è un obiettivo molto arduo, ma D’Anolfi e Parenti potrebbero essere all’altezza, dopo aver trasformato la dogana aeroportuale di Malpensa in una specie di Atlantide nel bellissimo “Il castello” (2011).
Ieri è stata comunque una giornata fortunata per il Concorso con Tom Ford e il suo “Nocturnal animals”, elegante è teso. Edward (Jake Gyllenhaal) è uno scrittore che fa recapitare all’ex moglie, Susan (Amy Adams), una gallerista in difficoltà sentimentale ed economica, il suo ultimo romanzo a lei dedicato. Il libro narra la storia di un uomo che trascina contro volontà moglie e figlia in un viaggio in Texas, sua terra d’origine. Ma alcuni balordi tendono loro un agguato, di cui rimangono vittime proprio la moglie e la figlia di Edward. Susan, che ne è la protagonista, avverte la violenza del racconto sulla sua pelle come se i fatti stessero davvero accadendo nella realtà.
“Nocturnal animals”, tratto dal romanzo “Tony and Susan” di Austin Wright del 1993, è una riflessione sulla brutalità della perdita, sull’impotenza di chi subisce una separazione che non condivide. Il tratto essenziale di Ford, stilista che ha rilanciato il marchio Gucci, è, come già in “A single man” (2009), la raffinatezza della fotografia, la geometria delle inquadrature che in alcun modo stride con la sofferenza che riesce a rappresentare sullo schermo. Elementi che non sempre convivono, soprattutto nel mondo della moda e dell’arte, humus del regista statunitense, con cui è spesso critico.
Philippe Falardeau con “The bleeder” ha poi portato sugli schermi la storia vera di Rocky, il pugile Chuck Wepner (Liev Schreiber), il peso massimo che resistette per 15 round sul ring contro Muhammad Ali, alias Cassius Clay nel 1975. “The bleeder” passa in rassegna tutte le tappe della vita di Wepner: la famiglia distrutta dall’hybris del successo, la droga, la prospettiva di un outsider che assaggia l’adrenalina della fama, ma non sa gestirla e affoga nella cocaina con i cliché classici delle catenone al collo, disco music e donne scollacciate. Infine l’incontro con Sly, Silvester Stallone che impersonò Balboa. Nel cast anche Naomi Watts, nei panni di Linda, compagna nella vita di Schreiber, anche produttore del film. Un bagno di anni Settanta a stelle e strisce senza impennate registiche, ma davvero godibile.