Il maestro ammonisce: “Siamo sempre a rischio di ricadere in un conflitto. Risvegliamoci dalla sonnolenza e disobbediamo”
“Quando andammo a fare visita in Vaticano a Papa Wojtila, ci accorgemmo a un certo punto che un paio di scarpette rosse spuntava da un tendone e che un occhio ci guardava dalla fessura. Era il Pontefice che ci spiava! Ecco, non spiamoci a vicenda”. Ermanno Olmi ammonisce scherzosamente la platea dei giornalisti, riuniti nella sua Asiago, in cui abita dagli anni Sessanta con la famiglia, a non “spiare” il contenuto del suo nuovo film, “Torneranno i prati”.
Sette settimane di riprese, terminate a fine febbraio, che raccontano le atmosfere della Prima Guerra mondiale, ambientate proprio sull’altipiano d’adozione. Qui sono state costruite due trincee, visitate dal Sole 24 Ore, una in val Giardini a 1100 metri di altezza, una in val Formica a 1800 metri. Costituiscono il set che ricostruisce la parte interna (Val Giardini) e la parte esterna (Val Formica) della trincea, dove è raccontata una notte del 1917 durante la Grande Guerra, animata dalle facce di tredici soldati (il più noto è Claudio Santamaria).
La pellicola è lo spaccato di un’ora e mezza tra le barricate in un periodo storico che prelude a Caporetto, dopo cui “tutti torneranno a casa propria e l’erba tornerà sui prati”, spiega il regista bergamasco. Lo spunto di questa pellicola viene dalla lettura di grandi autori come Emilio Lussu, Carlo Emilio Gadda e il compianto vicino di casa asiaghese, Mario Stern, che Olmi definisce “un poeta educato dal bosco”. “Ma gli intellettuali- sottolinea Olmi – metabolizzano il loro dolore nelle pagine. Molto più mi hanno ispirato i diari di anonimi, gente che più che avere nomi, ha indicazioni anagrafiche. La verità, l’ho trovata lì, perché lo scrittore non smette mai di essere scrittore, invece le testimonianze dei soldati comuni sono immediate”.
Il film, costato 3milioni e 200mila euro, è girato con il protocollo per l’ecosostenibilità “Edison green movie”, è prodotto da Cinema Undici, Ipotesi Cinema con Rai cinema, e ha ricevuto il contributo del Mibac per le celebrazioni del centenario dell’inizio della guerra che ha visto impegnata l’Italia dal 1915 fino 1918.
“Per un anno l’Italia ha mercanteggiato con un calcolo ignobile se rimanere neutrale o meno. Poi la famiglia Savoia, che era sempre distratta sulla Storia pur vivendola, ha deciso di schierarsi dalla parte delle nazioni da cui poteva trarre maggiori benefici commerciali”.
Tra poco il film andrà in montaggio e sarà pronto per l’autunno: si pensa che potrebbe partecipare alla prossima edizione della Mostra del cinema di Venezia, anche se il maestro è stato in questo piuttosto vago. “Non ho ancora visto nulla del girato. Preferisco aspettare la moviola in montaggio”.
Ermanno Olmi è in grandissima forma, alla vigilia dei suoi 83 anni, ottimista nonostante sia preoccupato per la situazione italiana e internazionale.
“Prima di essere bello, questo film deve essere utile. Bisogna parlare di guerra perché i conflitti non devono accendersi mai più. Bisogna sapere, conoscere, se no come può la storia essere maestra di vita? Le celebrazioni del centenario non devono essere solo uno sventolio di bandiere, ma soprattutto un modo per capire perché si arriva a massacrare il proprio e altri popoli. Sappiamo che la guerra è la più grande stupidaggine, ma siamo sempre a rischio di ricascarci. Basti pensare ora a quei popoli non molto lontani che non possono tollerare più la propria situazione”.
Olmi continua sferzando la sua platea: “Non dobbiamo limitarci a disapprovare o sottoscrivere, ma dobbiamo agire, fare. Essere onesti, come lo è Corrado Stajano, come lo è stato Tiziano Terzani. Dobbiamo essere disobbedienti quando gli ordini sono degli atti criminali. I peggiori tra noi sono coloro che non vanno a votare. Il rischio è rimanere affogati in questa sonnolenza, dove tutto va bene”.
Disobbedienti, lo si capisce tra le righe, sono anche due protagonisti del film, un soldato semplice e un sergente, che non riescono a capire perché si devono eseguire ordini mortali, sulla falsariga di “La sottile linea rossa” di Terrence Malick.
“La disobbedienza è un atto morale che diventa eroismo, quando l’atto diventa morte”. Nel film i militari devono rispondere al comando superiore di raggiungere posizioni pericolose per spiare le linee avverse. “Erano operazioni che avvenivano di notte con piccoli movimenti. perché qualsiasi rumore faceva capire al nemico che cosa stava preparando l’avversario. Le trincee nemiche sull’altopiano erano a distanza di otto metri una dall’altra. Ciascuno scavava per metter una mina e fare esplodere gli altri”. Con grande probabilità tra i nemici nella storia di Olmi ci sarà un contatto, momenti di solidarietà: “perché tra poveri ci si riconosce”. Il regista fa riferimento poi alla figura del soldato canterino, quello che portava i rifornimenti e la posta in prima linea e nessuno gli sparava perché cantava bene. “Questo è un personaggio comune a tutto l’arco alpino da est a ovest, perché il canto è un bene comune”.
Il film è stato girato in condizioni estreme. “Mi aspettavo di girare in plenilunio, ma il tempo cambiava in continuazione. Un giorno arrivammo e trovavamo il set coperto da cinque metri di neve. Ci sono voluti 200 camion solo per portare via la neve con cui è stato spalato uno dei camminamenti. Era come “Otello” di Orson Welles, in cui Desdemona mutava continuamente. Si iniziava con il sole, poi scendeva la nuvola e tutto era coperto. Quando mi decidevo a girare, accettando queste condizioni atmosferiche, due minuti dopo per il controcampo nevicava. Avrei preferito girare Desdemona”.
Poi Olmi torna sul profilo storico con ricordi personali: “Mio padre a 19 anni era stato sul fronte del Carso e dell’Isonzo e ci avvertiva: “Guardate che se viene la guerra, capirete cosa vuol dire anche un boccone avanzato”. Allora pensavamo che esagerasse. Solo dopo mi sono accorto amaramente che aveva ragione. La guerra è un virus conosciutissimo. Le grandi
guerre nascono da piccole difficoltà, bisogna sempre chiedersi il perché delle cose a cominciare da noi stessi”.
E i ragazzi di “Torneranno i prati” si chiedevano perché’?
“No, non si ponevano interrogativi. Venivano dai latifondi, valevano meno di una mucca, come i contadini di Tolstoj, che pensavano che quando il padrone voleva affrancarli, dietro ci fosse una fregatura”.