Berlinale 68: il red carpet è per Pattinson, ma è “Las Herederas” il film più bello

Una fila di giovani urlanti lo aspetta sulla porta di servizio dell’Hyatt: Robert Pattinson è la star della seconda giornata della 68esima edizione della Berlinale. “Sono contento che accada ancora”, commenta ironico l’attore inglese, che si trascina sempre dietro un gruppo di fan da quando era il vampiro Edward Cullen nella saga di “Twilight”.
Pattison è uno dei protagonisti, assieme a Mia Wasikowska, di “Damsel” di David e Nathan Zellner, una western comedy dai tratti grotteschi sullo sfondo dello splendido scenario dello Utah. Pattinson è Samuel Alabaster, un giovane pioniere che attraversa il wild west per sposare la giovane Penelope (Mia Wasikowska), trascinandosi dietro un pony da dare in dono alla sua bella e un sacerdote, Henry Parson (David Zellner), per celebrare la messa.


Quanto è improbabile il sacerdote, che Samuel trova ubriaco sulla spiaggia coperto dai granchi, tanto lo è Samuel, sciocco paroliere do canzoni, imbranato e ridicolo bellimbusto, votato all’amore. Pattinson riesce a far ridere la platea, ma non a convincere del proprio amore Wasikowska che lo respinge e che dimostra, quanto a capacità attoriale, di avere doti uguali se non superiori al suo compagno. Ma nonostante Pattinson si sia da tempo lasciato alle spalle il mainstream per darsi anche al cinema impegnato e indipendente – l’ultimo è “Good Time” del 2017 diretto dai fratelli Benny e Josh Safdie -, non si riesce a scrollare di dosso l’etichetta di sex symbol. La prima domanda rivoltagli in conferenza stampa è se crede nel vero amore. “No – ridacchia Pattinson, spettinato e vestito con una t-shirt blu scuro -, diciamo che la vita reale è più complicata. Il mio personaggio è frutto della fantasia”. La figura di maggior spessore nella pellicola è quella di Mia Wasikowska, che è tutt’altro che una damigella in pericolo, bensì mostra un carattere forte, determinato, coraggioso. Sorge spontaneo quindi chiederle un commento sull’affair Weinstein: “È un fenomeno che riguarda non tanto la mia generazione ma quelle precedenti. Ho osservato la questione da lontano perché ero in Australia. Ma è bello soprattutto che si siano create delle connessioni. Spero che cambi del tutto”.
Gli altri due film in concorso oggi sono stati “Black 47” di Lance Daly e “Las Herederas” di Marcelo Martinessi. “Black 47” racconta la storia del soldato irlandese Feeney (James Frecheville), al servizio della corona inglese in Afghanistan, di ritorno nella sua terra nel 1847 durante il periodo della carestia. Trova la sua famiglia decimata non solo dalla fame e dalle malattie, ma anche dal despotismo dell’esercito inglese. Nel veder morire la cognata e i nipoti per mani dei dominatori, nelle cui fila ha prestato servizio, si trasforma in un vendicatore dei mali della sua gente, uccidendo gli esponenti della tirannia e cercando di distribuire il pane ai poveri. Il film, che parte con una trama e una regia piuttosto semplicistica e piatta, migliora in seguito soprattutto per le prodezze da soldato di Feeney, al fianco del quale si scherano anche due soldati inglesi, Barry Keoghan (Hobson) e Hugo Weaving (Hannah). Ma anche il protagonista non salva il film che con un festival come la Berlinale ha poco a che fare. E’ più omogenea allo spirito sperimentale della Kermesse la bella e delicata pellicola del paraguaiano Martinessi, che racconta una storia di amori mal corrisposti, ambientati nell’odierna America latina in rovina. Il film inizia con l’occhio di Chela (Ana Brun) mentre spia un’estranea esaminare le mobilie e gli argenti del suo salotto. A mostrare gli oggetti agli acquirenti è Chiquita (Margarita Irun), la compagna di Chela. La disgrazia economica in cui vive la coppia è percepita in maniera fatalistica da Chiquita che protegge Chela, abituata sin da piccola alla larghezza di mezzi: caduta in depressione, nutre una visione paranoica nei confronti di chiunque la circondi e soprattutto di chi la voglia aiutare. Quando Chiquita si trova colpita da un mandato d’arresto per frode, l’attenzione di quest’ultima è ancora per la compagna: si arrangia a trovare una domestica che la curi in sua assenza e provveda a tenerle il morale alto, assicurandole tutti i privilegi cui è abituata. Chiquita si abitua alla vita del carcere quasi con lo stupore di chi visita un circo, mentre Chela, sempre più arroccata nel suo egoismo, si trova quasi suo malgrado a far da autista ad anziane signore facoltose che accompagna a giocare a carte. Attraverso di loro conosce Angy (Ana Ivanova), fascinosa, capricciosa, adolescenziale, quanto lo è lei, che cambierà la sua routine e i suoi interessi.