Cannes ’72. L’intervista a Pedro Almodovar: “Il cinema mi ha salvato”

Pedro Almodovar indossa una delle sue mise sgargianti: pantaloni rossi, maglietta a losanghe verdi e nere e un foulard con temi floreali e fantasie gialle, verdi e bianche. Anche Salvador Mallo (Antonio Banderas) si veste in maniera colorata in Dolor y Gloria, in concorso al Festival di Cannes e contemporaneamente nelle sale italiane.

Mello è infatti l’alter ego del regista spagnolo che si racconta nel film più autobiografico finora girato, che conclude una trilogia formata da La legge del desiderio e La mala educación. Il film ha come protagonista un regista cinematografico con molti acciacchi fisici e una devastante crisi creativa. Quando entra nella macchina della tac, necessaria per comprendere la causa di un grave dolore alla schiena, Salvador compie un viaggio nel tempo che lo riporta al passato.

Anche se ora il regista è ben ancorato al presente, contento dell’ottimo risultato che il suo film ha ottenuto nelle sale spagnole, e desideroso anche di parlare della situazione politica attuale.

«Fortunatamente la situazione politica in Spagna è cambiata. È stata una sorpresa positiva per tutti gli spagnoli il risultato delle ultime elezioni: avevamo molta paura. Per la prima volta in Spagna era diventata reale l’opzione dell’estrema destra. C’è stata una campagna elettorale basata sulla menzogna. Fortunatamente la reazione spagnola è stata la migliore possibile. La gente ha voltato le spalle all’estrema destra e ha messo le basi per un governo progressista di sinistra. Credo che ci aspettino quattro anni molto migliori di quelli passati».

E rispetto alle prossime elezioni europee? «È impossibile fare una previsione, in generale per qualsiasi Paese europeo. Non riusciamo a fare nemmeno previsioni con le elezioni municipali prossime, che si terranno il 26 maggio. Spero che il risultato nazionale influenzi quello locale, ma non lo sappiamo. Abbiamo capito però che il popolo spagnolo non vuole spostarsi a destra. E che odia il tipo di campagna elettorale fatta di illazioni, di insulti, dove non si parlava di programmi politici, piena di violenza. Gli elettori hanno dato un messaggio forte: non vogliono che i politici si esprimano in questo modo. Io spero che la sinistra, salita al potere, si affermi sia nel mio Paese che in Europa, anche se in Spagna le consultazioni europee non sono prese molto sul serio».

Dolor y Gloria torna a ritroso nell’infanzia degli anni Sessanta, nella provincia di Valencia, in cui Almodovar è cresciuto, poi la Madrid degli anni Ottanta, quando gira i suoi primi lungometraggi.
Il personaggio di Salvador sembra coincidere in pieno con quello di Pedro.

«La vita del personaggio di finzione coincide al 40 per cento con la mia vita reale. Però se facciamo i conti con una realtà più profonda che non guarda strettamente ai fatti della vita c’è una coincidenza del 100 per cento. Tutto quello che c’è nella pellicola e che non ho vissuto avrei potuto viverlo».

Un regista in difficoltà creativa

Il paragone con 8 e ½ di Fellini è immediato e il regista stesso ha definito più volte Banderas «il mio Mastroianni».

«Il personaggio di Antonio attraversa un periodo molto duro della sua vita, per il dolore fisico e per la depressione che sta affrontando, a cui cerca vari rimedi, tra cui l’eroina. Ma quello che tento di trasmettere con questa pellicola è che la sua autentica dipendenza, la cosa più importante per lui, senza la quale non potrebbe vivere, è il cinema. Il grande dramma del personaggio è che fisicamente non può affrontare un nuovo film e per questo motivo la sua vita non ha alcun significato. Io convivo con questo fantasma e la cosa mi prostra. Questa pellicola è una dichiarazione d’amore non solo al cinema, ma anche al grande schermo . Lo schermo è l’unica compagnia dell’attore e il grande schermo è l’unico luogo dove i film devono essere proiettati.Il cinema mi ha salvato. È quello che penso e quello che faccio dire a Salvador alla fine del film».

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