È una Cina tutt’altro che ruggente quella de I figli del fiume giallo, l’ultimo film di Jia Zhang-ke, che verrà presentato il 30 novembre al Torino film festival, dove il regista cinese è anche presidente della giuria del concorso. La pellicola, nelle sale italiane per Cinema nella prima metà del 2019, è ambientata all’inzio del nuovo millennio in una zona industriale nella provincia dello Shanxi, in cui prolifera un sottobosco umano che vive di espedienti e di malavita, ribattezzata jianghu. Qui una donna, Qiao (Zhao Tao), gestisce una bisca assieme al marito Bin (Liao Fan). Durante un agguato, Qiao spara un colpo in aria per disperdere gli aggressori e viene arrestata. Quando esce di prigione, cinque anni dopo, l’uomo non l’ha aspettata.Il vulcanico regista, classe 1970, anche scrittore, pittore, sceneggiatore, produttore, leva negli anni Novanta del nuovo cinema indipendente cinese, continua il suo personale scavo dell’immagine patria aperta al capitalismo sotto l’egida maoista. Piccolino, sovrastato per altezza, ma tutt’altro che schiacciato, dalla svettante musa e moglie Zhao Tao – che lo ha accompagnato in una folgorante carriera, sbocciata nel Leone d’oro di Still Life nel 2006 -, si spende con energia anche per le domande scomode, che potrebbero costargli la censura a casa, come già era accaduto per Pickpocket, il suo primo lungometraggio approdato nel 1998 alla Berlinale.
«I figli del fiume giallo cattura un arco di tempo di diciassette anni, dal 2001 al 2018, una fase epocale per la Cina, che ha subito drammatiche trasformazioni. Ancora oggi, ogni giorno su google map possiamo constatare che il paesaggio è cambiato e che saltano fuori continuamente nuove costruzioni. Abbiamo guadagnato molto, ma abbiamo perso altrettanto nel nome del progresso. Penso che dovremmo fermarci a riflettere su come siamo evoluti. Diciassette anni è un lasso di tempo sufficiente per mettere a confronto passato, presente e futuro». La pellicola è frazionata in tre tempi – 2001, 2006 e 2018 – ed è ambientata in due luoghi diversi: Datong nello Shanxi, dove viveva la generazione del “figlio unico” fotografata in Unknown Pleasures (2002); e Fengjie nella regione di Chongqing, dove era ambientato Still Life, che raccontava la città destinata a scomparire sotto il mastodontico progetto della diga delle Tre Gole che ha costretto all’evacuazione più di un milione di persone.
«Il 2001 è il periodo che avverto come più affine e autentico. Poi tutto è mutato, sotto il profilo sia sociale che geografico. Ho scelto di raccontare i fatti dalla prospettiva della cultura jianghu, che ha presa tra gli emarginati, legati da una fratellanza grazie a cui si proteggono vicendevolmente dai pericoli. Stabiliscono regole, principi e valori che valgono nella loro cerchia e che devono rispettare. È un mondo con cui non ho mai avuto contiguità, ma ciascuno di noi ha vissuto alcune esperienze che possono in qualche modo considerarsi limitrofe a questo contesto sociale. Jianghu attecchisce nelle città dove chiudono le fabbriche e la gente, rimasta senza lavoro, deve trovare il modo per sopravvivere anche attraverso la malavita. Mi interessava capire come l’economia di mercato cambia la società e si riflette sulle relazioni umane e i valori di riferimento. Per esempio, all’inizio de I figli del fiume giallo, è Bin a professarsi affiliato al jianghu , mentre Qiao si dichiara estranea. Alla fine sarà proprio lei a dimostrarsi leale ai principi della cosca». I protagonisti dell’ultimo film di Zangh-ke arrivano da lontano, da Unknown Pleasures, dove c’erano Bin Bin (Zhao Weiwei) e Qiao Qiao (Zhao Tao), ma sotto vesti diverse e in un gioco di specchi di autocitazioni cinematografiche incrociate. Si ripropongono situazioni già conosciute in Still Life, in cui la moglie va in cerca del marito di cui non sa più nulla. «Per me l’idea affascinante era quella di usare personaggi di vecchi film per farne dei nuovi». Ma anche così, trasformati, più cinici o incattiviti sono sempre figli del fiume giallo. Pilastro della narrazione è ancora una volta Zhao Tao, asso della filmografia del marito già dal 2000 con Platform, presenza necessaria a rendere indimenticabili film come Il tocco del peccato del 2013 (premio per la sceneggiatura a Cannes) e Al di là delle montagne del 2015, presentati entrambi al festival francese come I figli del fiume giallo. Zangh-ke adatta la figura della moglie al modello di un Paese in trasformazione: quanto Zhao Tao in Unknown Pleasures era portatrice di purezza, semplicità e amore incondizionato, tanto Zhao Tao di Still life era complessa, triste e opaca nei sentimenti. In Figli è diventata parte di un universo malavitoso e Qiao finirà in prigione per omertà. Spesso Jia Zangh-ke, testimone del feroce impatto della modernità sulla Cina, è stato accostato agli autori del Neorealismo italiano, ma sentendo l’accenno ai grandi maestri spegne la parlantina vivacissima: «Ammiro Rossellini e Antonioni. Sono stato molto influenzato da loro», sentenzia laconico. Questa volta il suo gangster movie con tratti melò non evocherà lo spettro dei maestri italiani.
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