Robert Redford è stata una personalità del cinema così incisiva, che ciascuno conserva nel suo pantheon un Redford personale, legato a un film per lo più politico o romantico, generi in cui l’attore statunitense eccelleva in egual misura.
Nato da una famiglia modesta di Santa Monica nel 1936, Redford avrebbe compiuto 90 anni il prossimo anno e, invece, se ne è andato il 16 settembre nel sonno nella sua casa dello Utah, dove aveva fondato e diretto un festival di cinema indipendente tra i più apprezzati al mondo, il Sundance.
Redford aveva iniziato come pittore ed era stata la moglie e attrice, Lola Van Wagenem – con cui è stato sposato dal 1958 al 1985 e da cui ha avuto quattro figli – ad indirizzarlo verso il teatro per poi approdare al grande schermo.
Fece parte di quel manipolo irripetibile di talenti che dagli States cambiò il modo di fare cinema, grazie a una capacità espressiva straordinaria, una professionalità ferrea e una spinta civile irruenta: da De Niro ad Al Pacino a Hoffman, da Scorsese a Coppola, passando per Cassavetes.
Ma Redford aveva una cartuccia in più. Con quel suo sorriso un poco storto e triste, i capelli biondi e i begli occhi lunghi, carichi sempre di un velato malessere, il fisico asciutto ereditato da un passato sportivo nel baseball, sapeva regalare anche momenti di profondo romanticismo.
Il primo, A piedi nudi nel parco, del 1967, di Gene Saks, con una capricciosa e irresistibile Jane Fonda assieme a cui riceverà il Leone d’oro alla carriera nel 2018, a Venezia.
E due film diretti da Sydney Pollack Come eravamo (1973), dove Redford recita al fianco di Barbra Streisand, e La mia Africa (1985) con Meryl Streep e la celeberrima scena dello shampoo sensuale, che nel nostro immaginario inchioda i due attori a un legame sentimentale imperituro, nonostante fossero stati sempre e solo colleghi.
Redford fu per Pollack un attore feticcio: recitò anche in Questa ragazza è di tutti (1966) con Natalie Wood, nel western Corvo rosso non avrai il mio scalpo! (1972), nel thriller I tre giorni del Condor (1975). Altra figura fondamentale fu Paul Newman, che conobbe sul set di Butch Cassidy (1969), diretto da George Roy Hill, regista che riunirà la coppia nuovamente ne La stangata (1973, 7 Oscar), in cui i due attori dimostreranno doti comiche e una complicità rara per interpreti di quel calibro, potenzialmente rivali.
L’anno dopo La stangata Redford è, al fianco di Mia Farrow, l’insuperato protagonista de Il Grande Gatsby di Jack Clayton (1974), mentre con Tutti gli uomini del presidente di Alan J. Pakula (1976) con Dustin Hoffman sul caso Watergate segnò un prima e un dopo nel cinema di impegno civile.
Dagli anni Ottanta passò dietro la macchina da presa e girò diversi film tra cui Gente comune per cui vinse l’Oscar nel 1981, sulla disgregazione di una famiglia dopo la morte di un figlio, esperienza vissuta da Redford con la morte del primogenito poco dopo la nascita.
Firmò poi film di successo, in cui lui stesso recitava, come Milagro, con Christopher Walken, L’uomo che sussurrava ai cavalli, con Kristin Scott Thomas e Scarlett Johansson, Leoni per agnelli, con Meryl Streep e Tom Cruise.
Dopo un Oscar alla carriera nel 2002, diede l’addio alla recitazione con The Old Man & the Gun diretto da David Lowery nel 2018. Oltre che regista e attore fu anche produttore e con il Sundance scoprì e lanciò numerosi registi indipendenti come Quentin Tarantino, Jim Jarmusch, Darren Aronofsky e Christopher Nolan.
Era di fede democratica e ambientalista, protagonista di una battaglia contro la costruzione di una centrale elettrica nello Utah.
Trump ha salutato la scomparsa dell’attore con un encomio: «L’ho sempre considerato un grande», che immaginiamo non avrebbe ricambiato. Sul tycoon nel 2019 Redford si era espresso senza mezze misure: «Un dittatore all’attacco dei valori di questo Paese».