Dietro le quinte di “The Post”: Meryl Streep e Tom Hanks raccontano il coraggio dell’editrice che sfidò Nixon

L’intervista con Tom Hanks e Meryl Streep

Una signora dell’aristocrazia americana, Katharine Graham, figlia dell’editore del «Washington Post», che ha sempre “fatto la moglie” di un uomo cui ha lasciato la direzione dell’azienda di famiglia, un giorno del 1971 rovescia il tavolo della sua esistenza, piena di cicatrici nonostante i luccichii della mondanità e le vacanze passate con il gotha della politica, e salva migliaia di vite di giovani soldati in Vietnam. In poche righe questo è il succo di The post (nei cinema dal 1° febbraio), che annoda assieme tre fili spessi – questione di genere, verità storica, il connubio distorto tra politica e stampa – senza mai bucare la trama.


Una missione assai complessa e riuscita grazie all’abilità di Steven Spielberg, due (forse presto tre) premi Oscar, che ha saputo da ET (1982) a Salvate il soldato Ryan (1992) far piangere il fanciullino che abita dentro lo spettatore, parlando di alieni indifesi o di una sporca guerra. Missione possibile anche grazie a due attori come Meryl Streep, nelle vesti della Graham, e Tom Hanks, nelle maniche rimboccate delle camicie di Ben Bradlee, direttore del «Washington Post».Ciarlieri, mattatori della discussione con la grandezza di chi si è meritato una Statuetta di Hollywood, Streep e Hanks si concedono in aneddoti generosi, dal backstage alle riflessioni politiche. Lei nell’eleganza eterea ma decisa che traspare qui come in ogni suo personaggio, dalla Tatcher in The Iron Lady (2012) alla protagonista di Florence (2016), lui ancora giocosamente nei panni del rude animale da notizia, Bradlee. «La scena chiave di questo film – spiega Hanks – non riguarda i Pentagon papers (le carte segrete che avrebbero certificato la volontà degli Stati Uniti di rimanere in guerra con il Vietnam, nonostante sapessero di perdere n.d.r.), ma il fatto che Katharine Graham dica sì o no alla loro pubblicazione, dopo la proibizione del Governo al New York Times. Il bilancino era nelle mani di una donna». «Ci saranno altri film che dipenderanno da un sì o no di una donna», lo incalza Streep e si guadagna il primo punto di una partita. Sono allenati alla stampa e a fare uno show di classe, sostenendosi a vicenda nel divertire e divertirsi, senza trascurare di lanciare messaggi utili al dibattito democratico. Rimangono leggermente interdetti nell’esprimersi su chi potrebbe essere la Katharine Graham d’Europa. «Angela Merkel», risponde per prima Meryl Streep, mentre Hanks riflette: «C’è una donna che ha una forte posizione di potere?», poi dopo un breve silenzio: «Magari ciascuna donna!» e strappa una risata. Streep ripete il nome di Merkel anche quando le si fa notare che l’Italia guarda alla cancelliera tedesca in maniera diversa dall’America: «È vero e lo sappiamo. Ma Merkel è un modello anche per quello che rappresenta. Vedete una donna in Italia col suo ruolo?». Tom Hanks la segue: «Vedete una donna alla guida dell’Italia? È possibile guidare l’Italia?», ironizza per poi diventare serio: «Sono un uomo e dico idiozie. Ma credo che grazie a Time’s up (il movimento che sostiene chi denuncia le molestie sessuali n.d.r.) la società ha varcato una sorta di Rubicone. Ma il vero cambiamento avverrà quando le donne occuperanno la metà dei vertici d’azienda». Streep rilancia: «Passeremo un altro Rubicone quando, seduti in aereo, nel sentire una voce che annuncia – e riproduce una voce in falsetto – “Buongiorno, sono Stephanie McDonald e sono il vostro pilota” non saremo colti dal panico». Hanks e Streep non si tirano indietro a parlare di politica, senza infingimenti. Sicuramente Spielberg non ama l’attuale presidente Donald Trump. In conferenza stampa poco prima il regista aveva sottolineato come la libertà di espressione in America fosse sotto attacco e quanto questo periodo fosse peggiore di quello del 1971. Anche Streep e Hanks non nascondono le proprie posizioni, parlano dei Pentagon papers, ma anche di Trump. Quando si chiede loro del tentativo del Presidente statunitense di bloccare la pubblicazione di Fire and Fury (Henry Holt and Company, 2018), il libro scritto da Michael Wolff, che svela alcuni retroscena della campagna elettorale dalla parte repubblicana, Hanks ride forte e salta sulla sedia: «Ho pensato: bella mossa», e Streep lo segue: «Davvero grande mossa!». Hanks continua fingendo di rivolgersi a Trump: «Cosa farai? ho pensato. Chiamerai il tuo amico Putin e gli chiederai – l’attore abbassa il registro della voce, come se fosse il cattivo dei cartoni: “Cosa devo fare con questo?”». Poi riprende il tono normale: «Davvero, è risibile!». Ma ciò che sta più a cuore ai due attori è sicuramente la questione di genere. In Tutti gli uomini del presidente – di Alan J. Pakula del 1976 sul Watergate che portò alle dimissioni di Nixon – il protagonista era ancora il «Washington Post», ma, spiega Hanks: «Non figurava nessuna Katharine Graham. Eppure era il capo di tutti». Meryl Streep continua: «Le donne sono sempre state presenti, ma non venivano mai considerate, anche se prendevano parte ai consigli decisionali. È divertente tornare indietro e rivisitare momenti della Storia di cui pensavi di sapere tutto, sotto la prospettiva dell’influenza femminile».
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