Libertà politica e personale sono sotterraneamente intrecciate nel bel film “Inhebbek Hedi” di Mohamed Ben Attia, in concorso oggi alla 66esima edizione della Berlinale. Al suo primo lungometraggio, dopo quattro corti, il regista tunisino quarantenne dimostra una mano notevole nel guidare la riflessione intima sulle costrizioni e le gabbie familiari per poi a deviarla sul piano ben più ampio della difficile situazione politica dei Paesi arabi.
Il film, inizialmente anche troppo lento, porta lo spettatore ad entrare nella vita di Hedi (Majd Mastoura), venticinquenne in procinto di sposarsi, con un lavoro come rappresentante nella succursale tunisina di una grossa casa automobilistica: una fonte di reddito sicura, che gli amici gli invidiano. E’ rimasto orfano da un anno e la madre Baya (Sabah Bouzouita) assieme al fratello maggiore Ahmed (Hakim Bau Messoudi) provvedono a lui come se fosse un bambino. Baya organizza il suo matrimonio con la bella coetanea Khedija (Omnia Ben Ghali), dopo aver preparato la casa grazie all’aiuto economico di Ahmed, che vive in Francia e che aveva già provveduto a trovargli il posto di lavoro. Hedi sembra assente, incapace di reagire alle prevaricazioni del capo che non gli concede le ferie per la luna di miele e all’invadenza della madre, che decide per lui ogni cosa. L’unica fuga di Hedi è il disegno, si esprime in fumetti in cui prevale il nero di uomini mostruosi e alieni. Silente, incerto su come spiegarsi la sua infelicità, sembra un Oblomov contemporaneo, incapace di intervenire sulle sue scelte o almeno di gioire sulle tante opportunità che ha più degli altri. E’ come se una cappa di inanità lo imprigionasse, fino a quando nell’albergo dove alloggia per lavoro, incontra Rim (Rym Ben Messaoud), un’animatrice turistica tunisina, che attira la sua attenzione. Spegne il telefonino, si isola e insieme a Rim crea una finestra di svago ai suoi obblighi, convinto di poter ritornare alla realtà quando vuole. E invece non è così facile. Per la prima volta Hedi impone a se stesso di seguire i suoi istinti, mandando all’aria il lavoro e il matrimonio.
Mohamed Ben Attia è bravo nel dipanare una storia in cui la politica è centrale, ma entra poche volte nei discorsi: quando Hedi si trova con Rim a discutere della breve primavera araba come di un’entusiasmante parentesi e quando apprende che il padre della promessa sposa è vigilato. Hedi può andarsene, sfruttando il visto per il viaggio di nozze; ma il problema è se riuscirà a sostenere la bellezza e l’arbitrarietà del futuro e soprattutto se l’abbandonare il Paese che ha bisogno di una scossa sia un diritto o una codardia.