«Scandalizzare è un diritto. Essere scandalizzati è un piacere», Pier Paolo Pasolini attraverso il volto scavato e adatto di Willem Dafoe risponde laconico alle domande in un’intervista alla televisione francese, sotto scorrono crudeli scene di “Salò”. Poche ore dopo morirà assassinato dagli stessi ragazzi di vita che il poeta friulano amava tanto.
“Pasolini” di Abel Ferrara, presentato in concorso oggi alla 71esima edizione della Mostra del cinema di Venezia, ha voluto raccontare proprio le ultime ore di vita dell’intellettuale veggente, amatissimo, controverso e contestato: dal 31 ottobre alla mezzanotte e mezza del 2 novembre del 1975.
«Abbiamo voluto rappresentare la mente del poeta nel suo ultimo giorno di vita – spiega lo sceneggiatore Maurizio Braucci – la sua immaginazione e il grande tema che lo ossessionava: il doppio nella vita e nella personalità. Abbiamo cercato di rimanere fedeli agli scritti originali e di fare un lavoro puntuale sulla traduzione con un’attenzione filologica».
Si parla di traduzione perché il film è parlato in inglese per la maggior parte del tempo e in italiano solo quando P.P.P. si rapporta ai ragazzi che lo uccideranno. Ma nelle nostre sale – l’uscita è prevista per il 25 settembre – sarà doppiato.
«Dafoe parla in italiano, ma non bene – precisa Ferrara – e quindi ho creduto che ci volesse una lingua parlata in maniera adeguata per poter esprimere il pensiero di Pasolini. Era invece impossibile far parlare i ragazzi di strada in inglese. La lingua è un artifizio e a noi, per un film come questo, serviva che fosse parlata bene».
Anche se si accetta l’artifizio è comunque difficile seguire in inglese senza sobbalzare Adriana Asti nel ruolo della mamma Susanna, che inframmezza i discorsi con il vezzeggiativo friulano di Pieruti. Lo stesso vale per i due cugini, Graziella Chiarcossi (Giada Colagrande) e Nico Naldini (Valerio Mastandrea).
Il film insiste molto infatti su quella cerchia di affetti, tra cui l’amica e attrice Laura Betti (Maria De Medeiros), che sono stati una linfa vitale per l’intellettuale. Così molte sono le scene di interni della casa in cui Pasolini viveva con la madre e la cugina Graziella, lì si svolgono le due interviste rilasciate in quelle ultime ore, una alla televisione francese e una a Furio Colombo per “La stampa”, in cui manifesta tutta la sua insofferenza per il consumismo. «Non siamo più essere umani ma siamo macchine. Gladiatori che posseggono. Detentori di ordine orrendo basato sulla conservazione e sulla distruzione. Siamo tutti in pericolo», spiega P.P.P. nel film.
«Pasolini – puntualizza Ferrara – era un uomo contro. Era un omosessuale nel periodo prebellico, ha vissuto la dittatura del fascismo e poi sotto gli americani si è scontrato con il consumismo. Era un personaggio che apparteneva a un’altra epoca, a un’altra generazione, come mio padre e mio nonno. Non avevano paura di nulla e P.P.P. era ogni giorno in tribunale».
Qui prende la parola Ninetto Davoli, vero mattatore della conferenza stampa, amico fraterno dell’intellettuale friulano, che nel film di Ferrara interpreta Epifanio (parte che sarebbe dovuta essere attribuita a Eduardo) assieme a Riccardo Scamarcio, nei panni dello stesso Ninetto da giovane. La coppia incarna alcune parti della sceneggiatura di “Porno-Teo – Kolossal” che Pasolini stava portando avanti parallelamente alla scrittura di “Petrolio”.
«Gli facevano causa anche se metteva la macchina fuori posto – rincara Davoli -. Tutto quello che faceva era nel mirino dei critici o della giustizia. Avrà avuto 32 o 33 denunce. Ma gli entravano in un orecchio e gli uscivano dall’altro. Ha sempre seguito le sue idee come i cavalli con i paraocchi. Pier Paolo voleva rappresentare un certo tipo di cinema, non violento, diciamo reale e questo sconvolgeva la gente».
Nel film di Ferrara non si fanno ipotesi dietrologiche sulla morte, che adombrano un omicidio politico.
«Cito Pasolini: la morte di ciascuno riflette la propria vita – continua Ferrara -. Il punto di questo film era cercare di parlare della sua vita, del lavoro, della sua passione e della sua compassione».
E Ninetto continua: «Pier Paolo era allegro, gli piaceva la vita. Lo tormentava il superfluo. Siamo stati presi dal consumismo. Siamo vittime del sistema che lui ha descritto. Lui aveva detto che il mondo sarebbe diventato violento e assurdo e non ci saremmo più riconosciuti».
L’idea di un film su Pasolini Ferrara l’aveva concepita già 20 anni fa, almeno così ricorda Davoli che puntualizza: «Abel ha sempre avuto un tarlo per Pasolini. E’ strano, ma sono strano pure io».
A chi contesta a Ferrara di aver scelto un titolo che potrebbe illudere lo spettatore di assistere a una biografia completa Davoli irrompe: «Aho, ma de che stamo a parlà!»
Mentre Ferrara sottolinea: «Si potrebbero fare 10 film su Pasolini e non sarebbe comunque sufficiente».
La pellicola tuttavia non convince. E’ ben reso l’affetto per famigliari e amici, sono interessanti le interviste, eccellente la performance di Dafoe: «Ho cercato di abitare le passioni di Pasolini. Mi sono sentito la responsabilità di dialogare con le cose che P.P.P. pensava. E sono cose potenti. Ho stabilito un dialogo estremamente privato con esse».
Il film non emoziona davvero, non trascina e non restituisce la complessità del personaggio, fatta salva la tenerezza per gli affetti. E dove la pellicola vorrebbe essere visionaria e onirica, finisce per essere solo strampalata e scollata.