Ci aveva visto giusto “Liberation”, quotidiano francese che molto spazio dà alla cultura, a dedicare un ampio approfondimento a “Salvo”, film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, proiettato alla “Settimana della critica” della 66esima edizione del festival del cinema di Cannes.
Passato quasi in sordina in patria, dove nessuno è profeta, la pellicola ha vinto ieri il primo premio della sua sezione, oltre al Prix Révélation assegnato dalla giuria presieduta da Mia Hansen-Løve. Un’opera prima, quella di Grassadonia e Piazza, che racconta il sottobosco della mafia di seconda fila, quella fatta dai galoppini, dai piccoli, invisibili, ma ferocissimi killer, che uccidono con indifferenza in una Palermo desolante.
In un’atmosfera di luce e sole opprimente (la fotografia è di Daniele Ciprì) si aggira Salvo (Saleh Bakri), guardia del corpo e tuttofare di un boss locale. Nel freddare per conto di quest’ultimo senza alcun enfasi l’ennesimo uomo, si accorge che la sorella della vittima è cieca, fatto che lo muove a compassione. Fingendo di averle fatto fare la stessa fine del fratello, come avrebbe dovuto secondo i dettami del suo “mestiere”, decide, infrangendo il suo cinismo, di portarla via con sé. Una decisione che gli cambierà la vita e che restituirà la vista alla ragazza (questa forse la parte più fragile del film, perché troppo inspiegabile e veloce). Cinque anni di duro lavoro per i due registi esordienti, che però sono lungi dal dimostrare gli inciampi consueti che si riscontrano a un’opera prima, grazie all’abilità con cui rendono i silenzi e l’atmosfera da western e grazie alla mano felice con cui dirigono gli attori, oltre al protagonista attore, l’esordiente Sara Serraiocco, non ultimo Luigi Lo Cascio. I due autori hanno dedicato la loro vittoria ai giudici e Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, di cui ieri ricorrevano 21 anni dalla morte nell’attentato di Capaci.
Ecco la presentazione alla Settimana della critica