Un giorno devi andare: un film che divide

Difficile dare un giudizio analitico su un film così coinvolgente come “Un giorno devi andare” di Giorgio Diritti (il trailer: http://www.youtube.com/watch?v=XKrAJJaWJzY), nelle sale dal 28 marzo. Si può dire che val la pena andare a vederlo per poi trarne le proprie conclusioni, non solo cinefile, ma necessariamente anche private. E’ un film che provoca e che scuote lo spettatore obbligandolo a riflettere su alcuni snodi fondamentali della nostra esistenza, tra cui la fede.

La storia apparentemente è semplice. Augusta (Jasmine Trinca) è una donna che ha appena perso un figlio e un matrimonio, proprio a causa della sua incapacità di procreare. Non è chiaro se non riesca a portare a termine le gravidanze o se quella gravidanza, di cui ci informa la prima scena del film con un’ecografia gigantesca, abbia creato tali complicazioni da provocarne la sterilità. Augusta non sopporta quel dolore e si spinge per tentare di placarlo nella foresta amazzonica, dove la natura è forte e prepotente quasi quanto la sua sofferenza. Lì nessuno chiederà conto dei suoi problemi, soprattutto i locali, che la vedono arrivare al seguito di Franca (Pia Engleberth), una suora cattolica in missione da decenni in quelle terre sperdute.

Sin dalla prima immagine del feto che pulsa al ritmo del suo cuore, “Un giorno devi andare” divide il pubblico in femminile (chiamato direttamente in causa) e maschile. E poi ancora, tra i chi ha avuto figli, chi li avrebbe voluti ma non ci è riuscito, e chi è indifferente alla questione. Ma le provocazioni non finiscono: Augusta è in continua interrogazione di se stessa e della sua fede. Anche qui nessuno in sala può nicchiare senza confrontarsi sulla sua natura di credente, ateo o agnostico.

Alle immagini dell’ambiente ribelle, maestoso, lirico della foresta – che ricordano anche per sfida evocativa quelle potentissime di “The tree of life” di Terrence Malick – si contrappongono quelle spente, grigie della vita in Italia della madre (Anne Alvaro) e della nonna (Sonia Gessner) di Augusta, sole e tristi in case spettrali. Sono la quintessenza della nostra incomunicabilità confrontata con la leggera immediatezza degli indios, che nulla posseggono, ma che sorridono sempre.

Augusta lascia il cammino di Franca per prendere una strada sua, in cui finalmente il dolore sembra sedimentarsi in un equilibrio fragile per poi esplodere però poco dopo in tutta la sua virulenza dentro di lei, che si lascerà abbattere da pioggia, sole, mare, fame. All’opposto,  la vita inerte italiana è ferita dall’arrivo di Janete (Manuela Mendonça Marinho), mandata da Augusta a casa sua, a cercare di affrontare con lo stesso rimedio della lontananza un male molto simile.

 

Regista

Diritti aveva sorpreso positivamente tutti con “Il vento fa il suo giro” (sostenuto solo da piccoli circuiti e soprattutto dal “Mexico” di Milano, famoso per le sue battaglie per il cinema indipendente) e aveva consolidato la sua fama con “L’uomo che verrà” sulla strage di Marzabotto. A prescindere dalla bravura di Trinca, si esce con la sensazione che la trama sia sfilacciata e che la pellicola pecchi di presunzione. Tuttavia, a distanza di due giorni dalla proiezione, il pensiero torna spesso alle immagini di questo film; sintomo che questo amato regista, nemmeno con questo nuovo lavoro ha fallito. Non del tutto almeno.

  • Marco76 |

    Diritti si riconferma un grande regista. Anche a me tornano agli occhi le immagini di questo film, i suoi, gli odori, gli sguardi dei personaggi dopo 2 giorni dalla proiezione. E mi chiedo quale risposta dare a tutte le domande che mi vengono in mente… Ho adorato i bambini in questo film che riescono a parlare senza dire nulla e ha inforndere la speranza della vita.

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