Esce la seconda parte di «Loro»: Sorrentino «interpreta» Berlusconi, tra manie di grandezza e fragilità


È ancora una canzone napoletana a introdurre la seconda parte di Loro, il film di Paolo Sorrentino ispirato alla vita di Berlusconi, nelle sale dal 10 maggio. La macchina da presa scopre il corpo nudo di una donna a gambe aperte sull’angolo di una piscina: è quello di Tamara (Euridice Axen), intenta a depilare le parti intime mentre il figlio le spara addosso l’acqua di una pistola giocattolo. La madre gli risponde a male parole, senza i filtri e la tenerezza che sarebbero dovuti a un bambino. È questa una scena ancora più forte e allegorica di quella che ha aperto il primo capitolo della saga sorrentiniana su Berlusconi – la pecora stecchita dall’aria condizionata e dalla televisione spazzatura –, perché racconta di una generazione decapitata dalla volgarità.


Anche nella parte precedente il regista aveva posto con forza l’accento sulla violenza verbale con cui Cupa (Anna Bonaiuto), deputata di Forza Italia, punisce il figlio per la bravata di aver messo le mani nella torta pronta per gli ospiti, anche se il piccolo non aveva fatto altro che tradurre in comportamento infantile ciò che vedeva ogni giorno fare alla madre e ai suoi accoliti con la politica, ovvero mettere le mani sulla torta del potere.
Il figlio di Tamara, invece, assiste in Sardegna al mercato delle ragazze, organizzato e orchestrato dal compagno della madre, Sergio Morra (Riccardo Scamarcio), figura riconducibile a Giampaolo Tarantini, e dall’ape regina, la maitresse d’alto bordo Kira (Kasia Smutniak), per attrarre Silvio Berlusconi. Il bambino si abbevera senza censure allo stesso sogno degli adulti: una vita da clochard di lusso, elemosinando le briciole dei potenti. Questa metafora racconta, molto più efficacemente della pecora, di un popolo, narcotizzato dalla televisione, che ha deciso di non avere più cura delle generazioni future.
Bellissima è la scena in cui Toni Servillo interpreta Berlusconi e il suo alter ego in affari, Ennio Doris, fondatore di Mediolanum. Doris ricorda a Berlusconi la sua grandissima abilità di piazzista e gli suggerisce di riprendere il potere – il film cristallizza il periodo tra il 2006 e il 2010, quando il leader di Forza Italia è all’opposizione – attraverso la “persuasione” di sei deputati a passare nelle sue file, facendo così cadere il governo.
Dal momento in cui entra in campo Ennio Doris il film prende l’abbrivio riscattando la prima parte, che si realizza ora essere stata una (troppo lunga) prolusione alla figura di Berlusconi che Sorrentino aveva in mente. Il regista napoletano finalmente mostra il leader di Forza Italia abbandonandosi alle immagini e a trovate divertenti e tragiche, non troppo schiave della sua bravura registica. Nella chiacchierata di Ennio Doris, fondatore di Mediolanum, si intravede il patto di ferro tra due anime che bene sanno che cosa sia il commercio: «Essere altruisti è il miglior modo per essere egoisti», spiega Doris, camuffando una restituzione ai risparmiatori con un atto di generosità.
Sorrentino questa volta davvero racconta il leader attraverso i suoi sentimenti, come ha precisato nelle note di regia, attribuendogli un ego smisurato sia nelle manie di grandezza che nelle grandi fragilità. Finalmente spiega il motivo per cui è riuscito ad aggiudicarsi milioni di voti di italiani, con la telefonata a un’ignara signora, scelta a caso sulle pagine bianche che occupano gran parte della libreria. La donna, che si trova a ricevere la chiamata del premier sotto falso nome, è il terreno su cui Berlusconi prova a se stesso di non aver perso la sua capacità di vendere, propinandole un avvenire di plastica, in un nuovo condominio che ha il sapore di un centro commerciale. Ci riesce, spiega alla signora, perché «conosce il copione della vita» e la pancia degli italiani. Finalmente, poi, Morra ottiene un appuntamento con “lui” presentandosi all’ex premier con una vaschetta di tiramisù. Sorrentino tiene a sottolineare come Berlusconi si abbandoni consenziente alla tela tessuta da Morra, e solo per soddisfare la sua voglia di vita e di voyeurismo di fronte alle “veline”, pronte a dimenarsi vestite da infermiere o in divisa hard core con una farfallina al collo.
Il Berlusconi di Sorrentino non è mai vittima di un inganno: è uno che i tradimenti li propone, ma che odia essere tradito ed essere ricattato. Può perdonare, come ha fatto con Santino Recchia (Fabrizio Bentivoglio), che ha tentato di fargli le scarpe, ma non subisce mai. Ai traditori viene tagliata la testa come ai serpenti che infestano il prato della villa sarda. Il Silvio di Sorrentino si rivela tracotante, tanto da preferire di esporsi ai selfie dei partecipanti alla festa a Casoria della diciottenne Noemi Letizia, piuttosto che andare all’assemblea dell’Onu, dove le sue barzellette e le sue pacche sulle spalle non vengono capite. È megalomane e insicuro, generoso e cinico con chi non gli serve più, come con Mike Bongiorno (Ugo Pagliai). Forse perché gli ricorda la vecchiaia e ha paura della morte, come gli spiega la moglie Veronica (Elena Sofia Ricci) mentre discutono del divorzio. Loro è un film su un periodo storico che il regista dice essere definitivamente chiuso, anche se ancora adesso Berlusconi è un attore in grado di condizionare, magari in levare, la politica. Loro è un film sulla paura della morte e della vecchiaia e soprattutto sulla decadenza di un Paese, rappresentata anche dal terremoto che colpisce l’Abruzzo nel momento in cui Berlusconi torna premier: le scene hanno un che di retorico e televisivo (insidiando così il soggetto sul suo terreno), ma scavano anche grazie a una fotografia che può osare il buio, ricordando le tele di Caravaggio. Peccato averlo diviso in due parti e non averne tagliato la prima.