Umberto Saba inedito: “La mia vita è finita e invoca l’eutanasia. Ma chi me la fa?”

29 lettere mai pubblicate tra il poeta triestino e lo scrittore Pier Antonio Quarantotti Gambini: il male di vivere, le annotazioni letterarie, i dissidi politici su Trieste.

«La mia vita – lo so, lo sento – è completamente finita, ed invoca a gran voce l’eutanasia. Ma – benché ora sia di gran moda – dove trovare la persona che me la faccia?». È il 10 marzo del 1950 e il malessere di Umberto Saba è così acuto da indurlo a fare una confessione estrema all’amico Pier Antonio Quarantotti Gambini, cui il 13 novembre 1949 aveva già rivelato «col consenso del medico vado avanti con la morfina». Sono le riflessioni inedite che Linuccia Saba, curatrice dell’epistolario tra il padre e l’autore istriano, aveva omesso ne Il vecchio e il giovane: carteggio 1930-1957, (Mondadori, 1965) aveva omesso e che con un lavoro certosino Daniela Picamus, studiosa e autrice di testi importanti su Quarantotti Gambini, restituisce nella sua integralità in Caro 48. Carissimo Saba , edito da Libreria Antiquaria Drogheria 28 e prodotto dall’Irci, l’istituto regionale per la cultura istriano-fiumano Dalmata (nei prossimi giorni in libreria). Le nevrosi del poeta erano note, come il desiderio ricorrente di suicidarsi, anche se non era mai giunto all’atto perché non aveva «il temperamento eroico» (ancora a Q.G., il 10 marzo).
sabaMa sebbene Saba fosse sempre provocatorio, e dicesse che era di gran moda, l’eutanasia non era un tema di dibattito in quegli anni. Il letterato aveva trovato qualcuno che lo aiutasse a “morire dolcemente” già nel 1948, ma come scrisse il 26 marzo del 1955 (quindi cinque anni dopo rispetto al desiderio espresso a Quarantotti Gambini) a Edoardo Weiss, analista freudiano con cui intraprese un cammino psicoanalitico dal 1929 al 1931 a Trieste, «due vipere (mia moglie e mia figlia) me lo hanno impedito» (nota in Lettere sulla psicoanalisi. Carteggio con Joachim Flescher 1946-1949, SE, 1991). Picamus ha ritrovato ventinove nuove lettere, mentre altre cinque sono state ricostruite nella loro interezza, nel carteggio conservato nell’archivio di Quarantotti Gambini acquisito dall’Irci, grazie alla fiducia che il direttore Piero Delbello e il presidente Franco Degrassi hanno saputo guadagnarsi dalla famiglia dello scrittore istriano, che ha donato all’istituto triestino anche parte della biblioteca. In tutto si tratta di 103 missive, 76 di Saba e 31 di Quarantotti Gambini, in una sproporzione dovuta anche al fatto che tutte le lettere scritte da Quarantotti prima della guerra sono andate perdute nel saccheggio della casa di Saba da parte dai nazifascisti. Il poeta triestino considerava l’autore de L’onda dell’incrociatore «il solo tra i giovani che avesse il senso dello stile; il solo che capisse qualcosa della vita e dei suoi problemi», come sottolineò in una lettera del ’53. Un giovane che Saba incitava a scrivere e a cui era legato dall’affetto del maestro per l’allievo prediletto; e, nonostante Quarantotti fosse un pezzo d’uomo che rasentava i due metri, il poeta lo chiamava “bambino Pierantonio” dandogli del tu, mentre l’altro continuava con il lei anche quando aveva oltrepassato i quaranta.

Quarantotti Gambini

Quarantotti Gambini

Linuccia fu assillante con Quarantotti circa le precisazioni sul carteggio intercorso tra i due scrittori dal 1930 al 1957,perché voleva affrettare l’operazione commerciale e non esitò a darlo alle stampe zoppo, con poche note e con una certa propensione a mettere in luce la figura del padre. Negli inediti la salute è un argomento importante: Umberto ebbe cura di spronare l’amico quando negli anni Trenta una malattia polmonare lo costrinse al sanatorio «… specialmente nell’apicite, niente giova tanto quanto lo stato d’animo del paziente: la volontà di guarire può quasi tutto. Se devo dirti la verità, io credo che la maggior parte dei giovani che si ammalano del tuo male, lo fanno per paura della vita… come la paura del bambino quando fa i primi passi. È una deliziosa goffaggine». Saba leggeva tutto in chiave psicoanalitica: «Parlargli (al giornalista e critico Mario Gromo n.d.r.) della traduzione italiana dell’opera di Freud Totem e Tabù… Freud è un nome mondiale, ed a Gromo non dovrebbe dispiacere di avere fra i suoi libri il suo nome». Tra le tante coloriture intime il poeta sconsigliò a Pier Antonio di abbandonare la facoltà di giurisprudenza che frequentava a Milano e cercò di dargli dei suggerimenti letterari: «Se torni dalla villeggiatura con la seconda stesura di Rosa Rossa è bene, se non forse ancora meglio. Mi sta a mente che quel delizioso romanzo ti lavora dentro, e che per questo non lo termini. Forse più aspetti e meglio ti riuscirà. Naturalmente anche aspettare troppo sarebbe male perché, in questo caso, ti allontaneresti troppo dalla costellazione intima dalla quale è nato. Ma troverai sicuramente l’ora fatale, cioè quella giusta». Il poeta dimostrava di apprezzare anche i lavori successivi. Di Saba è l’idea del titolo L’onda dell’incrociatore, venuto «mentre mangiavo una fetta di anguria in Piazza del Ponterosso». L’intuizione del poeta, già pubblicata nell’edizione Einaudi del 1948 del libro di Quarantotti, nasce proprio dalla corrispondenza privata del 12 settembre del 1945 e – come fa notare Giorgio Baroni nell’introduzione -, è stata la curatrice a chiarirlo per la prima volta. Dalla sua, Pier Antonio aveva il privilegio di ricevere in anteprima i versi di Saba ed esprimere tutta la sua ammirazione, specialmente per Mediterranee. Ma ci furono anche periodi di raffreddamento, soprattutto sulla questione politica triestina, che portò alla rimozione di Quarantotti Gambini dall’incarico di direttore della biblioteca civica “Attilio Hortis” con la falsa accusa di aver avuto comportamenti fascisti e antisemiti durante la Seconda guerra mondiale. Saba lo difese assieme ad altri intellettuali con una petizione pubblica: non aveva mai dimenticato quando 48, come lo chiamava lui, aveva presidiato assieme a Linuccia la libreria di via San Nicolò 30, mentre il poeta era fuori città durante l’attacco degli squadristi del 1941. Ma successivamente Saba non si astenne dal rimproverargli la ritrattazione del suo appoggio a una lista cultura nata a Trieste sotto le elezioni del ’48, mentre Quarantotti Gambini, che si era trasferito in maniera stabile a Venezia, rivendicava il dolore per la perdita dell’Istria che il Memorandum di Londra del 1954 aveva assegnato alla Jugoslavia. Ma alla fine del ’53, dopo essere stato minacciato di pestaggi e di morte per aver pubblicato nel ’49 sul «Corriere della Sera» un articolo dal titolo Se fossi nominato governatore di Trieste si trovò a dar ragione all’amico: «… a Trieste io non posso vivere. Ti prego anzi di non parlarmi di questa maledetta questione adriatica». Tra le righe anche gustose invettive del poeta contro alcuni intellettuali, tra cui Riccardo Bacchelli: «L’incaramellato filisteo ha parlato solo di Benco, per ringraziarlo di aver lodati i suoi romanzi» e Piero Calamandrei «Il tono con il quale mi scrisse quel medico dei matti non mi è piaciuto», che pareggiano un’annotazione di Quarantotti Gambini «… la filosofia di Croce è nata in cesso. Lui stesso lo ha confidato a uno che lo intervistò recentemente… Ma Croce oggi è un vecchietto, e credo che sia meglio non ripetergliele: va trattato con delicatezza, come ha fatto lei».
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Umberto Saba. Pier Antonio Quarantotti Gambini, Caro 48. Carissimo Saba. Lettere edite e inedite 1930 1957, a cura di Daniele Picamus, Libreria Antiquaria Drogheria 28, Trieste, pagg. 144, € 15