Nel ricordo del grande Resnais che si sentiva escluso dalla “Nouvelle vague”. Ecco l’intervista del 2009

Nel 2009 nel corso della 62esima edizione del festival di Cannes ho avuto il privilegio di intervistare Alain Resnais, grande maestro di Storia, di Teatro e di Amori. Raccontò come Truffaut e Rivette lo salutassero appena, mentre Bazin, che non andava mai al cinema, lo usasse come  recensore dei film. Aveva l'immancabile camicia rossa ed era una persona di una gentilezza squisita

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Ecco il pezzo comparso sulla Domenica del 26 maggio 2009

Da piccolo era gracilino, il dottore storceva il naso quando correva a curare i suoi attacchi d’asma. E invece Alain Resnais, classe 1922, è qui ancora a raccontare la sua carriera lunga oltre sessant’anni, con una camicia rosso fuoco che fa da contrasto a un abito nero notte, il sorriso placido e una curiosità vigile.«Sono come l’erba selvaggia, che cresce e prospera dove non è prevista». E proprio così ha voluto battezzare la sua ultima fatica, LesHerbes Folles, in concorso al 62esimo festival di Cannes, che racconta la storia di un amore irrefrenabile. Una passione che attecchisce dove non dovrebbe e non sarebbe prevista,ma a cui non si può porre rimedio. Resnais torna a Cannes dopo quasi trent’anni di assenza. L’ultima volta aveva ricevuto il premio della giuria con Mio

Zio d’America nel 1980, a cui, per i meccanismi di conflitto e fuga, in una certa misura

si riallaccia Les Herbes Folles. «Anche se quello era un film-saggio che esponeva le teorie del fisiologo Henri Laborit», precisa il regista di Hiroshima Mon Amour, basato su una sceneggiatura di Marguerite Duras, nel 1959 non si era aggiudicato nessun premio, eppure critica e pubblico ne erano entusiasti. Fu il suo primo lungometraggio dopo dieci anni di documentari, tra cui Notte e nebbia, in bianco e nero, sui campi di sterminio nazisti, proiettato proprio sulla Croisette nel 1959 fuori competizione.

«I miei colleghi mi incoraggiavano – scherza Resnais –. Chi fa documentari, dicevano, non realizzerà mai un film», ma sulle labbra ha un sorriso sornione, senza ombra di rancore. Ma quali colleghi? Quelli della Nouvelle Vague, la corrente cinematografica nata alla fine degli anni Cinquanta?«Figuriamoci!Mi escludevano! Truffaut e Rivette a malapena mi salutavano. Il critico André Bazin,invece, era per me un fenomeno. Parlava di cinema come se stesse descrivendo le opere di Stendhal, ma ci andava pochissimo. Usava me, incallito frequentatore di sale, come suo informatore».

E anche grazie a lui è fiorito l’amore di Resnais per la regia, una pulsione irragionevole,

proprio come l’erba selvaggia, il titolo della sua ultima fatica. Tratto dal romanzo L’incidente di Christian Gailly, ha come protagonista George (André Dussolier, sodale di molte altre avventure cinematografiche) e Marguerite (Sabine Azéma, sua compagna anche nella vita).George, sposato, due figli, un lavoro (forse), ritrova il portafoglio di Marguerite, dentista con l’hobby per il volo, vittima di uno scippo. Le fotografie di Marguerite sui documenti cominciano a farlo sognare e quando lei telefona per ringraziarlo di aver riconsegnato il maltolto alla polizia, George la prende a male parole perché non accetta di incontrarlo. Comincia a scriver le lettere in cui racconta la passione del padre per gli aerei e analizza la sua vita, scandagliando aspetti della sua anima fino ad allora nascosti.

Quell’incidente, lo scippo, «vol– fa notare il regista- in francese significa volo e furto» è l’inizio per tutti e due di una nuova esistenza. George capisce che Marguerite è la donna della sua vita, le lascia messaggi in segreteria, l’attende sotto casa aspettando un segno che non arriva e che lo porterà a tagliare le ruote della auto dell’oggetto dei suoi desideri. Su sollecitazione di Marguerite, la polizia in un gustoso siparietto dissuaderà George a continuare il corteggiamento, ma sarà quel silenzio che farà capire a Marguerite l’impossibilità di vivere senza il suo persecutore.

Così tra gag, incongruenze, momenti di tensione e suspense si snoda il film, che, oltre

a far sorridere, fa interrogare. George ha avuto un passato da delinquente? Così sembra quando alla polizia teme di essere riconosciuto. La scena finale cosa significherà

e come si lega all’intreccio? «Deve chiederlo a Chistian Gailly, io ho seguito la sua impronta narrativa».

Ma quando si ribatte che sono molte le digressioni al testo, risponde sornione:

«Sono fedele e infedele. Le incongruenze sono il sale della vita e se la follia viene accettata e accolta da chi ci sta vicino, beh, quella è la migliore e forse l’unica maniera di affrontare la vita».

Padrona delle sequenze è una voce fuori campo. «Lo so, è demodé, ma a me piace. Come i colori della pellicola, che sono completamente irreali. Mi ispiro ai fumetti, alle

graphic novel. Per me il cinema è la meraviglia dell’immaginario. E io non conosco altri modi per pagarmi l’affitto». La storia è accompagnata da una meravigliosa colonna sonora. «Così mi ha catturato il libro di Gailly. I dialoghi erano pieni di musicalità. E come lo scrittore, io sono un mancato jazzista».

In sala, alla proiezione ufficiale, Resnais è stato lungamente applaudito, prima e dopo la visione. E il film accolto come una ventata di leggerezza dopo tanto dolore e horror. «Il cinema non può fare a meno di registrare quello che avviene nel mondo, riproducendolo con la stessa tensione. Questo è un mondo cinico e violento. Soprattutto gli uomini. Le donne hanno le mani meno sporche di sangue». Le figure femminili, nel film di Resnais, giustappunto, sono confortanti. Marguerite è una donna intelligente, forte, passionale, con un solido rapporto di amicizia. Perfino la moglie di George, che non si capisce se tolleri la passione del marito per la rossa aviatrice per eccesso di amore o per un sopimento di sentimento, evoca un senso di nobiltà. «Sono cresciuto in una società provinciale, dove le donne venivano trattate con negligenza, relegate in cucina, costrette ad accettare in silenzio ruoli da gregarie. Sono stato anche presidente

della giuria al Women’s Film Festival, nel Vermont. Respect the women!, mi ammonivano.

E io credo di farlo, sperando sempre che non emulino gli uomini. Vive la différence!»

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