“Il passato”: un altro colpo da maestro per Farhadi. Tre volte applausi (meritati) per la Golino

 Guardare al passato è come infilare lo sguardo dentro un caleidoscopio: ogni volta, a seconda del punto prospettico e delle condizioni in cui ci si trova, è sempre diverso e ingannevole. Questo ci insegna “Il passato”,

 

in concorso alla 66esima edizione del festival del cinema di Cannes, del pluripremiato regista iraniano Asghar Farhadi (Orso d’argento a Berlino per “About Elly” nel 2009, Orso d’oro per “Una separazione”nel 2011, pellicola con cui vince nel 2012 l’Oscar e il Golden Globe come migliore film straniero).

 

 

Ahmad (Ali Mosaffa) torna dopo quattro anni a Parigi per firmare il divorzio con Marie (Bérénice Bejo, la bravissima protagonista di “The artist”). All’aeroporto lo attende, visibilmente emozionata, l’ex moglie. Il loro primo confronto è muto: attraverso un vetro lei lo guarda cercare con preoccupazione un bagaglio che gli verrà recapitato solo giorni dopo a casa; la prima comunicazione parziale dei due avviene a gesti, a sorrisi. La macchina da presa di Asghar già coglie la prima contraddizione: c’è troppa felicità mista a nervosismo per un incontro che dovrebbe essere un formale atto di addio. La stessa presenza di Ahmad è anomala: avrebbe poi potuto mandare un avvocato, oppure firmare una procura, ma decide di presentarsi di persona. Marie insiste per ospitare l’ex marito a casa, assieme alle figlie di lei, e al piccolo Fouad (il bravissimo Elyes Aguis). La presenza del bambino, ad Ahmad sconosciuto, la casa in stato di trasformazione, fa comprendere all’uomo che la vita di Marie si prepara ad accogliere una famiglia in divenire e che l’ex moglie sta per risposarsi con il padre di Fouad, Samir (Tahar Rahim, indimenticabile protagonista di “Il profeta” di Jacques Audiard). Una rivelazione che lo sconvolge, cui si aggiunge il dolore per il malessere della figlia adolescente di Marie, Lucie (una promettente Pauline Burlet), cui Ahmad è molto legato. Non solo, il nuovo compagno di Marie è in realtà ancora sposato con una donna in coma da mesi dopo aver tentato il suicidio. Tutta la prima parte del film sembra gettare un’ombra oscura sulla figura della donna, bella, quanto egoista e inquieta, che costringe tutti coloro che le satellitano attorno, a stringersi in una nuova situazione, di cui nessuno sembra essere troppo convinto. E in fin dei conti nemmeno lei, visto che continua a coinvolgere l’ex marito nel rapporto con la figlia e a tenere con lui liti accesissime, indice di un legame non ancora spento. E invece, il regista, che scrive meravigliosamente le sue sceneggiature e le fa rispettare in maniera certosina agli attori, continua a scoprire le carte, modificando, proprio come in un caleidoscopio, le prospettive da cui esaminare la storia. Vengono a galla vecchie ruggini, verità indicibili, trame nascoste, in cui nessuno è innocente o colpevole. Come in “About Elly” e in “Una separazione”, il regista iraniano esplora il mondo dei sentimenti e i legami di coppia, mettendo in luce fatti che vengono confutati e rivoluzionati da nuove confessioni e spiegazioni. Farhadi, come lui stesso ha raccontato, è abituato a partire da una storia vera, in questo caso quella di un uomo che prendeva un aereo per andare a firmare un divorzio, per aggiungerne altre da cui viene attratto in corso di scrittura. Qualche anno fa è andato all’ospedale per visitare una persona in coma, lo stato per eccellenza d’incertezza. E ha voluto infilare nella trama anche questa situazione scabrosa, riuscendo a mantenere tutto in equilibrio, mentre il dubbio, su cui si regge “il passato”, fa capolino ovunque. Un film ben riuscito, accolto dalla critica con un applauso.

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La foto è alla conferenza stampa, il regista e Mosaffa hanno parlato in farsi

Tre volte applausi invece per "Miele" di Valeria Golino, film sull'eutanasia, presentato nella sezione "Un certain regard".

 

La proiezione era stata fissata nella importante sala Debussy, pienissima. Al film , che vede come protagonista Jasmine Trinca e un ottimo Carlo Cecchi, sono stati tributati tre applausi: prima della conclusione (credendo fosse la fine), alla fine e a titoli di coda terminati. A Cannes quest'anno non si era ancora sentita un'accoglienza così calorosa da parte della critica. Se lo meritano la regista, i protagonisti e soprattutto il tema.